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Chi sostiene e chi ostacola Mohammed bin Salman in Arabia Saudita

Libano

Gli osservatori internazionali (quelli che seguono le vicende politiche per arrivare al sunto finale: l’economia e il come andranno le cose) non hanno dubbi: la notizia del momento è l’apertura annunciata dall’erede al trono saudita, Mohammed bin Salman, per trasformare il regno e riportarlo sulla strada “dell’Islam moderato, aperto al mondo e a tutte le religioni”.

IL POLO MBS

MbS, acronimo con cui nel mondo che conta viene chiamato bin Salman figlio, è uno dei soggetti più attenzionati da quegli osservatori, e due di questi spiegano a Formiche.net – preferendo restare anonimi per ragioni di interessi diretti – che tutto sta a capire quanto queste affermazioni saranno seguite dai fatti. Si dice “queste” perché l’apertura all’Islam moderato è solo l’ultimo rilancio di MbS per trasformare l’Arabia Saudita: un piano che passa da quella che il futuro regnante chiama la Vision 2030, un enorme progetto per differenziare l’economia di Riad e smarcarla dal petrolio, e una serie di mosse che hanno portato la monarchia a una politica assertiva e pragmatica (un esempio: l’acquisto di armi russe per rimodulare gli sbilanciamenti eccessivi verso occidente).

RIAD E IL WAHHABISMO

Che Riad diventi il fulcro dell’Islam moderato è interessante perché finora è stato invece il principale diffusore di una lettura radicale della religione islamica, il wahhabismo, che ha connessioni in luoghi di predicazione e scuole coraniche di tutto il mondo, finanziate dalla teologia sunnita saudita. La questione è tutta collegata alla predominanza del potere religioso su quello politico. È molto simile al cruccio che avvolge l’Iran dal 1979: la sfera secolare detta la traiettoria di quella temporale, e da qui una visione radicale esce predominante. Bin Salman ha detto che “ci siamo chiusi troppo” in risposta alla rivoluzione islamica iraniana perché “non sapevamo come farci i conti”, e in pratica Riad s’è mossa sullo stesso solco.

PERCHÉ MBS PUÒ RIUSCIRE

MbS ha tutto l’interesse a sovvertire quell’ordine, per varie ragioni. Innanzitutto è giovane, rappresenta la forza di una categoria anagrafica – i trentenni – che compone circa il 70 per cento della popolazione; si tratta di persone dinamiche, che sentono i divieti imposti dai chierici (sulla musica, sulle imposizioni al sesso femminile, e via dicendo) come un peso e che sta scansando con aperture moderate (occidentalizzanti, si potrebbe dire) i conservatorismi esistenti (vedere per esempio gli Emirati Arabi, dove c’è un sovrano abbastanza giovane che ha molto feeling con Salman figlio). Inoltre MbS ha dalla sua l’impatto economico che Riad ha, e aumenterà, sugli scenari globali nei prossimi anni: gli investitori accettano i soldi sauditi e investono in Arabia Saudita, ma molti sono frenati dal timore di finire invischiati in un sistema paese lontanissimo dagli standard degli stati di diritto occidentali. Le parole di MbS sono arrivate durante la Future Investment Initiative  (FII): nel corso del suo intervento ha promesso 500 miliardi di dollari per la creazione della città-resort di Neom sul Mar Rosso, tra Egitto e Giordania, interamente alimentata ad energia solare ed eolica, abitata più da macchine che abitanti e con una business zone di 26,500 km quadrati. Il modello è quello della free zone, che entrerebbe in concorrenza diretta con Dubai.

E CHI LO FRENA

Lo scontro interno a cui MbS dovrà fare fronte è quello con l’ala più radicale e conservatrice del potere che – come in Iran, Repubblica islamica sciita nemica esistenziale del regno sunnita ma con diversi aspetti in comune – è collegato al sistema teologico. Bin Salman può sfruttare il martellamento mediatico, che può lavorare come indottrinamento, ma rischia di trovarsi contro le predicazioni dei falchi. La via della moderazione è un altro passaggio nevralgico interno al regno con possibili riscontri regionali: un altro perché, per esempio, alcuni commentatori ritengono che anche la mossa per far sprofondare nell’isolamento il Qatar sia conseguenza dei terremoti interni alla casa Saud, in particolare un tentativo di spostare l’attenzione su altro mentre MbS e l’ex erede al trono scansato dalla sua recente nomina, il cugino Mohammed bin Nayef (più conservatore), trovavano un nuovo equilibrio.

UNA LEVA

Per anni il radicalismo religioso incarnato dalla casa regnante saudita e dai suoi ideologici e predicatori è stato collegato ai gruppi islamici combattenti. Il Regno ha da anni avviato un tentativo di affrancarsi, ma ci rimangono diversi benefattori che elargiscono fondi di vario di genere a organizzazioni estremiste. MbS ha cercato di costruire attorno a Riad il fulcro di un corpo militare che come principale obiettivo combattere il radicalismo islamico nella regione (la chiamano “la Nato araba). Ironia della sorte, i gruppi armati come l’IS detestano comunque i Saud perché li considerano poco fedeli ai precetti rigidi dell’Islam, che il wahhabismo va predicando nel mondo, e troppo aperti all’Occidente.

 


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