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Npl e non solo. Perché Renzi non è il solo a strapazzare i banchieri centrali

draghi

Attenzione, cari lettori della carta stampata e della sua trasposizione sul web. Almeno da venerdì, i giornaloni hanno appaltato ai loro retroscenisti politici la diatriba tra governo, Partito democratico e Quirinale sul futuro della Banca d’Italia. D’ora in poi quindi, e almeno fino a venerdì prossimo, rischierete di perdervi dietro girandole di nomi, dietro ipotesi ovviamente confermatissime (per cui già oggi il governatore Ignazio Visco è contemporaneamente “più forte” per alcuni quotidiani e “disposto a un passo indietro” per altri), oppure dietro leziosi paralleli storici. Il tutto condito da commenti quasi fotocopia sull’indipendenza della Banca centrale dalla politica, editoriali che addirittura adombrano l’esistenza di un reato di “lesa maestà” per chiunque – dagli scranni del Parlamento – si permetta di fare qualche appunto ai grandi manovratori dei nostri istituti centrali.

Ai retroscenisti politici però sfugge che di tanto in tanto lo strattone del politico di turno al banchiere centrale di turno non è soltanto fisiologico, ma può diventare perfino efficace. Ne avremmo le prove proprio in queste ore, sempre in Italia, se non fosse che il retroscenista politico mastica solitamente poca politica economica e dunque non si accorge della notizia potenzialmente succulenta. Cerchiamo di spiegarci.

Ieri la Reuters ha pubblicato un retroscena così intitolato: “La Banca centrale europea (Bce) è sotto pressione affinché ammorbidisca la stretta sui crediti deteriorati. Lo dicono fonti interne”. Il riferimento è alle nuove regole sulla svalutazione dei Non-performing loans (Npl) che dovrebbero valere per tutte le banche europee, norme su cui l’istituto di Francoforte ha avviato una consultazione pubblica prima che esse entrino in vigore a partire dal nuovo anno. Cosa prevedono queste norme? L’aspetto più problematico, sintetizzato dall’economista Giuseppe Pennisi, è che “la bozza di dispositivo prevede, in sintesi, che entro due anni per i Npl non garantiti, entro 7 per quelli con garanzie (reali o personali), il 100% del valore del finanziamento va[da] accantonato se questo – a fronte di un mancato pagamento delle rate per novanta giorni – si trasforma in credito problematico”. In parole ancora più semplici: le banche dovranno accantonare sempre più riserve per ogni credito problematico che scopriranno di avere in pancia. Ma per dare copertura a questi crediti – è il ragionamento di alcuni operatori – ed evitare allo stesso tempo una restrizione del credito e un indebolimento della patrimonializzazione, si potrebbe essere costretti a nuovi e dispendiosi aumenti di capitale.

Adesso dunque una qualche “pressione” – per citare la Reuters – starebbe spingendo Francoforte a rivedere i suoi piani. Infatti, quando a inizio ottobre uscì la notizia di questa ulteriore stretta, il segretario del Pd, Matteo Renzi, fece il diavolo a quattro e non mancò di criticare la Bce. Su Twitter, lo scorso 5 ottobre, scrisse: “Alcuni dirigenti europei del settore bancario ignorano che il loro compito è EVITARE crisi del credito, non CREARLE”. E poi ancora: “Se passano nuove regole, il credito alle piccole aziende sarà impossibile. Stanno compiendo gli stessi errori 2013”. Non fu l’unico, certo. A marcare le distanze da Francoforte – spesso tra l’altro facendo confusione tra il presidente della Bce Mario Draghi e la presidente del Consiglio di vigilanza della Bce (SSM) Danièle Nouy responsabile delle nuove regole – sono scesi in campo anche il ministero dell’Economia, l’Associazione bancaria italiana, la Confindustria, il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani.

Il catenaccio del sistema italiano a tutela della banche, come abbiamo scritto, in questi ultimi anni è stato quasi sempre tardivo e spesso inefficace. Ma se stavolta si sta aprendo uno spiraglio che potrebbe portare al cambiamento delle nuove norme sugli Npl, lo si deve proprio agli strattoni della politica, come osserva oggi – solitario – Alessandro Barbera sulla Stampa: “Che la questione sia già oggi oggetto di dibattito interno alla vigilanza l’ha ammesso due giorni fa la stessa Nouy in un incontro alla Banca dei regolamenti internazionali di Basilea. Le ragioni italiane però starebbero trovando alleati in paesi con problemi simili, ovvero Grecia, Portogallo e Spagna. Secondo quanto riporta l’ultimo rapporto statistico della vigilanza europea, su un totale di 865 miliardi di crediti deteriorati, 249 sono in Italia, 110 in Grecia, 31 in Portogallo, 131 in Spagna. (…) La signora Nouy rischia di trovarsi stretta fra due fuochi; da un lato i Paesi latini, dall’altra la Germania, le cui grandi banche non conoscono il problema: su una massa di 2.800 miliardi di prestiti, i crediti deteriorati sono appena 64”.

Uno scontro tutto (geo)politico che, nella testa di Renzi, rafforza la convinzione che a volte le maniere forti possono tornare utili nel trattare con le Banche centrali. Ignazio Visco è avvertito.



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