Urne aperte oggi in Lombardia e Veneto in occasione del referendum voluto dai due governatori leghisti – Roberto Maroni e Luca Zaia – per ottenere maggiore autonomia dallo Stato. Le regole delle due consultazioni, però, sono parzialmente diverse: in Lombardia non è previsto alcun quorum di partecipazione, mentre in Veneto sì. Ciò vuol dire che nel primo caso la proposta sarà accolta o bocciata a seconda, ovviamente, delle preferenze espresse dai cittadini ma a prescindere dal numero di elettori che si recherà a votare. Nel secondo caso, invece, è stato fissato un quorum di partecipazione al 50%: e, quindi, il referendum sarà valido solo se l’affluenza alle urne supererà questa percentuale.
LE MOTIVAZIONI ECONOMICHE DI MARONI E ZAIA
Le motivazioni che hanno spinto Maroni e Zaia – e le rispettive maggioranze nei consigli regionali – a chiedere l’indizione dei referendum sono, comunque, analoghe. E hanno un contenuto sia politico che economico. O, forse meglio, prettamente politico ma ammantato di economia. Nel senso che – ad avviso dei due governatori – con l’eventuale vittoria dei Sì aumenterebbero le risorse a disposizione delle rispettive regioni e diminuirebbe, contestualmente, quello che viene tecnicamente definito residuo economico. Ossia, la differenza tra quanto un territorio versa a titolo di tasse e tributi allo Stato centrale e quanto ne riceve indietro in termini di servizi. Secondo la loro ricostruzione, in Lombardia toccherebbe i 57 miliardi di euro, mentre in Veneto a circa 15. Un ammontare che Maroni e Zaia sostengono diminuirà drasticamente nell’ipotesi in cui il referendum dovesse concludersi con il voto positivo dei cittadini.
LA PARTITA POLITICA
In molti – tra giuristi, osservatori ed esponenti politici – hanno però contestato in queste ore la versione del Carroccio e sottolineato come la ragione di questi referendum sia essenzialmente di natura politica. In questo senso – argomentano – il Sì dei cittadini servirebbe a dare maggiore potere negoziale alle rispettive regioni nelle trattative con il governo sull’autonomia. Senza che l’eventuale risultato positivo vada, però, a intaccare il residuo fiscale di Lombardia e Veneto. Insomma, secondo questa impostazione la vittoria servirebbe a legittimare le aspirazioni di entrambi i governatori ma non a migliorare effettivamente la situazione economica delle due regioni.
LE CRITICHE DEL PROF. BALDUZZI
A tal proposito è severo il giudizio che il professore di Scienza delle finanze dell’Università Cattolica di Milano, Paolo Balduzzi, ha affidato venerdì scorso al Messaggero. Intervistato da Luca Cifoni, il docente universitario ha, innanzitutto, contestato le cifre ipotizzate da Maroni e Zaia: “E’ vero che Lombardia e Veneto hanno un residuo fiscale, ma i referendari hanno esagerato, scegliendo di usare la cifra più alta possibile. Per la sola Lombardia, ad esempio, hanno parlato di 57 miliardi. E’ probabile che in realtà sia più corretto collocarlo tra i 20 e i 30. E anche per il Veneto le cifre vanno un po’ ridimensionate“. Ma c’è di più perché, ad avviso di Balduzzi, indipendentemente dall’esatto ammontare delle somme anche con più autonomia non aumenterebbero le risorse a disposizione di Lombardia e Veneto: “Il residuo fiscale non sarà comunque intaccato anche se le due regioni dovessero ottenere maggiori competenze. Per il semplice motivo che in quel caso lo Stato centrale cederebbe sì le competenze, ma ridurrebbe i trasferimenti in corrispondenza alle risorse finanziarie che restano sul territorio. Da quel punto di vista non cambierebbe nulla e, dunque, è pura propaganda far credere agli elettori che ci sarà uno spazio di decine di miliardi per la riduzione delle tasse. Questo non può succedere“.
IL NO DI CICCHITTO E POLILLO
E che il referendum abbia un valore soprattutto politico, lo hanno affermato anche il presidente della commissione Affari esteri della Camera Fabrizio Cicchitto e l’ex viceministro dell’Economia – e firma di Formiche.net – Gianfranco Polillo. I quali, nei giorni scorsi, hanno scritto a quattro mani una lettera indirizzata al direttore de La Stampa Maurizio Molinari, in cui hanno spiegato perché sono contrari ai due referendum. Il pericolo, a loro avviso, è che possa innescarsi una sorta di effetto domino in virtù del quale anche altre regioni possano decidere di invocare lo stesso trattamento: “Si metterebbe, così, in moto un processo che amplificherebbe, fino al limite, le contraddizioni dell’attuale Titolo V della Costituzione, generando una totale anarchia“. L’unico effetto concreto di questo referendum – sostengono, in sostanza, Cicchitto e Polillo – sarebbe quello di far aumentare le tensioni tra Stato centrale e territori senza, però, trovare una soluzione sistematica ai problemi palesati dall’attuale assetto istituzionale: “C’è sempre il rischio, vista anche la storia del nostro Paese, che da cosa nasca cosa e che di qui a qualche anno ci troviamo di fronte a problemi analoghi a quelli della Catalogna“. Da cui l’inevitabile conseguenza: “Noi non siamo favorevoli a questi due referendum“.