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Perché dico grazie a Filippo Roma delle Iene per il caso di Mario Caruso e Domenico Rossi

Grazie, mille volte grazie alle Iene e a Filippo Roma per il memorabile servizio dedicato all’improbabile onorevole Mario Caruso (nella foto con Bruno Tabacci), al sottosegretario Domenico Rossi e al suo simpatico figlio scavezzacollo Fabrizio, con la complicità della stagista anonima (anch’essa piuttosto improbabile, oltreché viziata da un drammatico accento romanesco degno di un film con Tomas Milian).

Grazie non tanto per aver scoperchiato il pentolone delle assunzioni di favore (il figlio di Rossi in carico al collega di partito Caruso), monumento vivente all’Italietta della raccomandazione prêt-à-porter, di cui, caro generale Rossi, il mondo delle alte burocrazie nostrane (comprese quelle militari) è campione del mondo.

Anche se, aprendo una parentesi, vorremmo sapere cosa ne pensano l’irreprensibile presidente Laura Boldrini ed il collegio dei questori della Camera, poiché il contribuente paga un cittadino italiano per lavorare da una parte mentre l’interessato fa tutt’altro al servizio del padre, peraltro membro del governo.

E neppure grazie per aver messo in luce un altro memorabile vizio nazionale, quello delle dimissioni parziali ed innocue, visto che il sottosegretario di fronte ad una storia oggettivamente impresentabile decide di sospendersi dalle deleghe di governo, che è ben altra cosa dal dimettersi a tutti gli effetti (e anche qui saremmo grati al ministro Roberta Pinotti se ci mettesse a parte della sua opinione).

Noi vogliamo ringraziare Filippo Roma per aver svelato ciò che solo il senatore Antonio Razzi ci aveva fatto intuire (con la collaborazione soave di Maurizio Crozza): abbiamo in Parlamento gente come l’onorevole Caruso che non parla la lingua italiana. Egli infatti farfuglia, con tono allusivo e spesso minaccioso, mettendo in fila parole a caso sperando che l’algoritmo installato dal Buon Dio nella sua testolina vuota faccia il miracolo di mettere tutto a sistema, creando così delle frasi di senso compiuto.

Uno scempio esilarante ascoltare questo improbabile eletto del popolo, per la cui penosa elevazione in vetta allo scranno di deputato saremo per sempre irriconoscenti a Gianfranco Fini, che lo volle in lista con Mario Monti nella quota riservata al suo partito (vabbe’, oggi siamo indulgenti sul fronte lessicale). Un danno, quello di aver portato in Parlamento l’onorevole Caruso, al cui confronto la vicenda della casa di Montecarlo appare come una bazzecola, un peccato veniale, una distrazione per amore (parentale, as usual).

Ora il nostro pensiero va al camerata Mirko Tremaglia, che volle fortissimamente la legge per allargare alle circoscrizioni estere il nostro sistema elettorale. Lodevole intento di un gentiluomo di destra, roccioso bergamasco dal cuore tenero.

Oggi però di fronte agli strafalcioni del grottesco onorevole Caruso possiamo dire che quel tentativo è definitivamente fallito. Già Razzi con la sua passione per la Corea del Nord ci aveva fatto capire che qualcosa di sbagliato c’era nel nocciolo di quella intuizione.

Adesso però ne abbiamo la prova assoluta. L’onorevole Caruso è la Cassazione, la sentenza definitiva, il verdetto inappellabile.

Questa vicenda umana e (poco) politica degli eletti all’estero è una monumentale fesseria, evitando di usare un’espressione tanto cara al rag. Fantozzi (solo per carità di patria). Prima la chiudiamo e meglio è.

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