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Quattro domande sulla scuola paritaria

Gent.mo direttore,

da sempre sostiene la nostra azione culturale che pone al centro lo studente e di questo Le sono grata. Sono quasi 10 anni che scrivo a favore della garanzia del diritto di apprendere dello studente senza alcuna discriminazione economica; della necessità che la famiglia possa agire la propria responsabilità educativa nella libertà di scelta educativa che implica necessariamente un pluralismo educativo. Buona la scuola pubblica statale e Buona la scuola Pubblica Paritaria in una sana concorrenza fra di loro sotto lo sguardo garante dello Stato. La soluzione del costo standard introduce le leve della valutazione, della meritocrazia. Una buona scuola necessità di Buoni docenti. Un capitolo importante in una azione culturale tesa a porre in fila le questioni ed è in quest’ottica che condivido una lettera aperta che ricevo da una docente.

Gent.ma professoressa,

La ringrazio per la Sua lettera aperta che pubblico nel mio blog con piacere. Mai sfuggire alle domande scomode se siamo davvero alla ricerca del bene della Res-Publica. Certamente tanti sono i passi compiuti e sono fiduciosa che anche in Italia come in tutti i Paesi europei (siamo al 47^ posto al mondo) i genitori italiani potranno scegliere dove educare i propri figli a costo zero avendo già pagato le tasse e i docenti a parità di titolo (con la dovuta valutazione e meritocrazia) potranno scegliere se insegnare in una scuola pubblica paritaria o statale a parità di stipendio.

I passi compiuti ci impegnano ad informarci senza cedere il passo al sentito dire che ci riporta sempre al punto zero.

Segnalo un Video che ben sintetizza la soluzione e che trova un ampio consenso. Certamente occorre lavorarci come ha dichiarato la Ministra Fedeli

Infine le segnalo in documento del Consiglio Nazionale della Scuola Cattolica: le scuole paritarie e la formazione professionale sono una presenza da garantire, nel segno della sussidiarietà “Autonomia, parità scolastica e libertà di scelta educativa”.

Credo che se ripartiamo da questi punti fermi, nell’onestà intellettuale senza alcun pregiudizio che non va mai bene, riusciremo a porre in fila le questioni sino ad una reale soluzione. Si può fare

sr Anna Monia

Gentile suor Anna Monia Alfieri,

mi permetto di disturbarla perché leggo spesso del suo impegno a favore del diritto di apprendere dello studente senza discriminazione economica in un pluralismo educativo (fatto di scuole statali e paritarie) e, assolutamente da profana, vorrei porle delle questioni.

Io sono un’insegnante della scuola paritaria. Insegno filosofia e storia in un liceo di (omissis). Come molti docenti mi trovo di fronte ad una difficilissima scelta: rimanere nella mia bellissima scuola oppure, come si dice qui, “andare nello Stato” definitivamente dove sono stata chiamata quest’estate. Per ora ho accettato il ruolo statale, mi sono messa in aspettativa per avere un po’ più di tempo per decidere, anche se sono orientata a rimanere dove sono e rassegnare le dimissioni volontarie dallo Stato.

Le scrivo perché le assicuro che il mio dilemma è quello di tanti altri docenti, un dilemma che però non è solo personale, riguardante una scelta di vita, ma che finisce per interrogare le politiche italiane della scuola cattolica. Quindi ci sono delle domande che mi pongo (che un po’ tutti si fanno) e che le pongo, non in modo polemico, ma problematicamente, perché sono il frutto di una difficoltà che molti docenti vivono tra una “vocazione” (quella di restare nella scuola paritaria) e una contingenza piuttosto stringente (le possibilità materiali che sono di gran lunga maggiori, offerte dalla scuola pubblica). Spero che lei possa aiutarmi a vederci meglio, a capire in che direzione andiamo.

1) mi chiedo come mai, dal punto di vista anche solo “mediatico”, non si insista nel tentativo di andare verso il modello spagnolo o francese, dove le scuole paritarie, i cui docenti sono pagati direttamente dallo Stato, godono di uno status migliore del nostro del corpo docenti. In Francia e in Spagna, come è noto, le scuole non statali non si rivolgono solo alle famiglie abbienti (senza ipocrisie, le nostre scuole, mi riferisco in particolare alle secondarie, sono solo per un certo tipo di famiglie – con un certo status, bonus o non bonus) e questo contribuisce a renderle non solo effettivamente un servizio pubblico, ma anche a non farle percepire alla società civile come una “casta”, dato che tutti possono beneficiarne. Lei stessa suor Anna Monia con coraggio ha definito il nostro sistema scolastico classista, regionalista e discriminatori, nel saggio “Il diritto di apprendere. Nuove linee di investimento” Ed. Giappichelli 2015.

Apprezzo molto la sua battaglia per andare nella direzione del “costo standard di sostenibilità per allievo”, tuttavia ritengo che questo cammino vada percorso a piccoli passi. Esso infatti, oltre ai numerosissimi vantaggi, presenta anche uno svantaggio che mi pare quasi insormontabile: per trovare le risorse dovrebbe essere applicato a tutto il sistema educativo nazionale nel quadro non di una semplice riforma, ma di un cambiamento radicale proprio della gestione della scuola. Senza contare poi l’intrinseca difficoltà sull’accordarsi in relazione al modo in cui il costo standard dovrebbe essere “gestito”. Mi spiego: è effettivamente un finanziamento legato a quelle specifiche funzioni (cioè se è per comprare i cartelloni quella cifra non posso spenderla per ridipingere le pareti)? Si dovrà passare per l’amministrazione? Oppure dovrebbe essere versato complessivamente e ciascuna istituzione scolastica potrebbe gestirlo a modo suo? Possono sembrare questioni oziose, ma in verità configurano un’idea del rapporto Ministero – scuole pubbliche (statali o paritarie) che rischia di essere, appunto, rivoluzionario se applicato fino in fondo oppure un far west se fatto male. Indubbiamente si potrebbe andare verso il costo standard a piccoli passi con la tenacia e la serietà che la contraddistingue sr Anna Monia. Ma gli altri lo credono possibile?. E il costo standard del docente potrebbe essere quello di cui lo Stato, anche in maniera indiretta ma vincolata, inizia, pian piano, percentualmente a farsi carico in base al CCLN statale, iniziando almeno, progressivamente, per quella che è la scuola dell’obbligo. Io non la trovo una proposta così inaccettabile in termini politici, perché è questo il punto. Sono posti di lavoro (nessuno può dire il contrario) che configurano comunque, in termini complessivi, un risparmio per lo Stato e soprattutto un diretta verifica delle risorse che mette a disposizione.

2) Altro dubbio: se la Chiesa investisse anche solo un decimo del suo “credito mediatico” (mi passi l’espressione) sull’importanza e il senso di un’educazione cattolica invece di investirlo tutto sull’importanza e la presenza dei docenti di IRC nelle scuole statali, forse si otterrebbe qualcosa di più. Non so quantificare il costo degli IRC nella scuola statale (questione che, anche qui senza ipocrisie, provoca ostilità o indifferenza nell’opinione pubblica), ma è la situazione in sé che non riesco a capire.

3) Molti docenti, infatti, sono costretti loro malgrado ad abbandonare la scuola cattolica proprio per il salario che è molto più basso rispetto alla scuola statale. Io sono, come le scrivevo, in aspettativa dallo Stato, e però a causa della lentezza della pubblica amministrazione che non aveva ancora, a livello centrale, “lavorato” la mia domanda, ho comunque ricevuto lo stipendio del mese di settembre (che ho dovuto prontamente restituire attraverso un complicatissimo processo alla ragioneria territoriale dello Stato). Ebbene, la cifra netta che mi è stata accreditata, come neoimmessa, supera di circa 250 euro il mio stipendio ordinario (senza considerare gli aumenti che ci sono nel corso degli anni, dei bonus ecc ecc). Per non parlare degli stipendi delle nostre scuole primarie che sono offensivi considerando il percorso di studio che oramai i maestri devono affrontare anche per insegnare alla primaria. Questo problema potrebbe essere ovviato solo se lo Stato iniziasse a pagare progressivamente e direttamente i nostri docenti, come succede in altri paesi. Un insegnante di IRC della scuola statale, scelto dalla curia, ha uno stipendio molto più alto di un docente abilitato in qualunque disciplina, che ha vinto anche due o tre concorsi statali e che si trova ad insegnare in una paritaria. C’è evidentemente qualcosa che non va. Certamente per molte scuole il problema è sopravvivere e tenere aperto, ma una parola sui docenti che pur svolgendo una funzione pubblica (non facciamo anche noi gli esami? Non “rilasciamo” anche noi diplomi?) non vedono riconosciuta una retribuzione equivalente, forse aiuterebbe. Sembra che il problema del paritario sia solo quello di garantire la libertà di scelta delle famiglie, mai una parola sulla necessità di investimenti maggiori da parte dello Stato per riconoscere un’equiparazione del salario. E questo del salario è un problema serio, considerando che il pane sulla tavola bisogna pur metterlo e molti docenti si ritrovano a “passare allo Stato” pur credendo fermamente nei progetti educativi delle scuole paritarie in cui si sono trovati ad insegnare. Io stessa, che sono da sola, mi chiedo se sto facendo la scelta giusta, dato che la differenza di stipendio copre il 50% della rata del mio mutuo.

4) Non vedo – almeno io – una battaglia per difendere la specificità della scuola cattolica che (per la mia esperienza) è sempre una scuola di qualità, dove si investe sull’eccellenza non solo degli alunni, ma anche del personale le cui competenze sono valorizzate per garantire una formazione tarata su alti standard qualitativi, e dove comunque non si lascia indietro nessuno (che è molto diverso da un diplomificio, e allora bisogna avere anche il coraggio, da parte delle nostre scuole, delle associazioni di chiedere allo Stato i controlli seri che sono solo a garanzia della qualità della nostra offerta formativa).

Ecco, io suppongo che tutti questi miei dubbi abbiano una risposta di cui magari semplicemente non mi sono accorta, sono io che non la vedo. Mi sono permessa di scriverle senza alcuno spirito di polemica e mi scuso in anticipo se a volte il mio tono può esserle sembrato “spiccio” perché la mia intenzione è tutt’altro che polemica ed è solo sincero tentativo di comprendere qualcosa in cui credo e che ha dato al mio lavoro un senso che prima non aveva (prima di approdare alla paritaria ho lavorato 4 anni della statale, pur da precaria, quindi so di cosa parlo).

Cordiali saluti D.N.

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