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Siamo troppo puliti?

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È in corso una sorta di fuga generale dai progressi fatti: nella politica, dove torna l’antico gusto per i leader “forti”; nella geopolitica, dove cresce l’avversione per i sordi burocratismi dell’Unione Europea; nell’alimentazione, dove ora che c’è pane per tutti c’è anche il terrore del glutine.

Il fenomeno è particolarmente evidente nelle nostre usanze sanitarie. La salute della popolazione mondiale è enormemente migliorata – l’attesa di vita è più che raddoppiata rispetto al 1900 – in non poca parte per il debellamento delle malattie che hanno afflitto la razza fin dagli albori dei tempi. Però, il successo – indubbio – è sempre più avversato da chi teme le vaccinazioni che l’hanno reso possibile.

Emergono indicazioni che il prossimo ostacolo da abbattere nella marcia all’indietro possa essere quello della pulizia personale. Influenti organi di stampa anglosassoni e persone che “fanno tendenza” cominciano a domandarsi se ci laviamo troppo. Quello della doccia quotidiana – si sospetta – potrebbe essere una manipolazione dell’industria saponiera. I grandi stilisti e gli attori più o meno noti iniziano a bearsi dell’“onesto e sincero” tanfo umano che emanano.

La stilista britannica Vivienne Westwood, grande trendaiola e promotrice della “Street Fashion”, in una recente intervista riferita dall’Agence FrancePresse, ammette candidamente che ha da tempo smesso di lavarsi regolarmente, limitandosi – quando si rende necessario – a una veloce sciacquatina dei suoi “bits”, un eufemismo per le parti intime. Nel film Sex and the City, l’abito da sposa di Carrie Bradshaw è firmato Vivienne Westwood.

L’influente rivista americana The Atlantic riporta l’esperienza di uno dei suoi giornalisti, James Hamblin, che ha smesso di lavarsi, tra l’altro calcolando che i venti minuti al giorno che prima “perdeva” con le abluzioni ammonterebbero nel corso della vita a quasi due anni. La sua tesi, ricorrente nel proselitismo anti-lavaggio, è che il lavarsi troppo di frequente altererebbe la flora batterica sulla pelle cosicché generi un odoraccio se non viene rimossa, mentre se la si lascia rifiorire, evitando acqua e sapone, torna l’equilibrio e dopo un po’ si puzza meno.

Forse non esattamente come un fresco giglio ma, secondo il giornalista, quando invita gli amici ad annusarlo dicono che “it’s all good”, che “va bene”. Per chi cerca una via meno radicale – Hamblin conferma di lavarsi solo quando lo sporco si vede, “perché devo ancora stare in società” – le riviste femminili americane suggeriscono di fare la pipì mentre si è sotto la doccia, soprattutto per ridurre il consumo dell’acqua.

Secondo la EPA-Environmental Protection Agency americana, lo sciacquone genera il 27% del consumo domestico dell’acqua negli Usa. La BBC riferisce che alla University of East Anglia, dove i 15mila studenti sono stati incoraggiati a fare la prima “minzione” del mattino mentre sono nella doccia, si potrebbe risparmiare abbastanza acqua “da riempire 26 piscine olimpioniche”. Oltre alla conservazione idrica, l’orina avrebbe un utile effetto antimicosi, ostacolando l’insorgere del “piede dell’atleta” e simili inconvenienti. Inoltre, si calcola che nel caso delle femmine la prassi riduca il consumo della carta igienica. La donna che orina sotto la doccia ogni mattina risparmierebbe un rotolo in cinquanta giorni. La rivista Glamour, nel raccomandare la pratica alle lettrici, assicura che: “A meno di non avere un’infezione, l’orina è sterile e atossica”.

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