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La Spagna, l’indipendentismo catalano e l’ultima rivoluzione

Mariano Rajoy - Imagoeconomica

Tutti i mass-media del mondo hanno puntato i riflettori, ormai da qualche settimana, sulla Spagna. Ormai da quando nella più perfetta illegalità è stato promosso ed effettuato il referendum per l’indipendenza della Catalogna, il contenzioso politico tra Madrid e Barcellona, tra governo centrale e locale, è diventato un vero e proprio cruccio internazionale. Vi è attesa per il prossimo discorso che Puigdemont, presidente della Generalitat, farà a sostegno dell’indipendenza catalana, dopo che ieri è stata la volta della grande manifestazione unionista, alla quale hanno partecipato migliaia di persone, tra cui intellettuali e figure di primo piano.

In particolare molto forti sono state le parole pronunciate da Vargas Llosa, il quale non ha avuto remore a definire “congiura golpista” l’avvio di questo processo politico che vorrebbe portare alla secessione della ricca regione meridionale spagnola.

Al di là delle idee che si possono avere in merito, e soprattutto a prescindere da come andranno a finire le cose, questa vicenda mostra con chiarezza alcuni fatti importanti. Il primo riguarda la conferma di una tendenza molto intensa nel nostro tempo a ricercare con forza un radicamento concreto e oggettivo di prossimità comunitaria che sia in grado di offrire una valida alternativa politica alle antiche e permanenti sovranità degli Stati nazionali, e a quelle più moderne delle istituzioni internazionali.

L’indipendentismo catalano, d’altronde, non è un’invenzione di oggi, richiama le origini aragonesi medievali della regione, che precedono di gran lunga molte altre entità politiche via via stratificate. A ciò si aggiunga la specificità linguistica che, come Dante Alighieri ricorda all’Italia, è un fattore centrale per legittimare il principio di nazionalità soggettiva oltre lo Stato e prima di esso.

Fatto sta che in questa fase concitata è molto difficile valutare precisamente, dopo un referendum senza legittimità legale e dopo che la partecipazione popolare non ha raggiunto neanche il 50 %, quanto effettivamente sia negli interessi della maggioranza locale avviare una procedura di Catalexit.

A colpire è, in ogni caso, il ritorno in scena ovunque di moti rivoluzionari, all’interno anche di un Paese così importante dell’Unione Europea. Forse questa è la chiave di volta per formarsi un’idea dei concitati accadimenti di questi giorni.

I movimenti indipendentisti, infatti, sono veramente trasversali. Da un lato vi è l’indubbia matrice conservatrice e comunitaria che li lega alla destra federalista di sempre. Laddove infatti si privilegia il concreto e il prossimo al remoto e astratto, si guarda al particolare più che al generale, e quindi si sta in una costellazione di valori anti egualitari. Ma dall’altro il modo in cui viene fatta valere volontaristicamente l’autonomia politica di una regione dalla Corona rivela invece uno straordinario carico di idealismo tipicamente di sinistra, noncurante dei danni economici concreti che un’eventuale processo di secessione comporterebbe su banche, imprese, famiglie, eccetera.
Perciò la Catalogna oggi dice che, seguendo la nota definizione di Zeev Sternheel, abbiamo a che fare con una “destra rivoluzionaria”, la quale appunto, in quanto rivoluzionaria, finisce per essere bandiera della sinistra più oltranzista. Tutto ciò all’interno di un Paese che già nel secolo scorso, durante la Guerra Civile, tende a dividersi e a dividere ideologicamente l’Europa.

In tal senso, al di là dell’estrema durezza ostentata dal premier Mariano Rajoy, forse il discorso del Re Filippo VI è stato l’intervento più deludente. Egli ha mostrato di non comprendere lucidamente la funzione che la monarchia in Spagna è stata chiamata a svolgere con suo padre dopo la caduta di Francisco Franco. Quest’ultimo aveva, infatti, compresso le minoranze in modo nazionalista e autoritario, mentre Juan Carlos si era successivamente legittimato proprio come rappresentante di tutte le differenze storiche presenti nel territorio della Corona. Ecco perché la mancanza di una condanna inequivocabile di Filippo degli atti di violenza perpetrati dalla polizia sugli elettori, non ha certo contribuito a rasserenare gli animi e a garantirgli quel ruolo di mediazione che gli spetta e che sarebbe risolutivo, specialmente in questa fase inziale.

In attesa di vedere che succederà nei prossimi giorni, certamente l’equilibrio dei moderni Stati centrali deve essere, oggi più che mai, quello di garantire unità concedendo autonomia, proprio per evitare di trovarsi in situazioni che, se idealizzate, rischiano di diventare pulsioni rivoluzionarie separatiste molto pericolose, non avendo realmente in sé però la possibilità di risolvere i problemi concreti della gente comune, rompendo il contatto della politica con la realtà e finendo per mettere a rischio le libertà stesse dei cittadini.

In definitiva, la violenza rivoluzionaria è sempre sbagliata, che venga da sinistra o da destra; e la reazione legale deve essere prudente, intelligente, pacifica e sempre molto cauta e diplomatica. Senno a perdere saranno la democrazia e i diritti umani fondamentali, di solito sacrificati immediatamente per presunte priorità astratte da tutelare o da ottenere con urgenza.


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