Con la decisione di abbandonare l’Unesco e la de-certificazione dell’accordo sul nucleare iraniano, l’America di Donald Trump conferma ancora una volta di aver scelto Israele come interlocutore privilegiato in Medio Oriente. Tel Aviv teme infatti l’avanzata dell’Iran sciita, suo nemico storico, sotto l’egida della Russia di Putin. Per avere una chiave di interpretazione israeliana dell’attuale scenario mediorientale Formiche.net ha incontrato Yaakov Perry. Ministro della Scienza, della Tecnologia e dello Spazio fra il 2013 e il 2014 e attualmente membro dello Knesset, la carriera di Perry ha raggiunto il suo apice all’interno dello Shin Bet, l’agenzia dei servizi segreti israeliani da lui diretta fra il 1988 e il 1994. Ecco la sua conversazione con Formiche.net:
Che cosa pensa della decisione di Trump e Netanyahu di uscire dall’Unesco?
L’Unesco è un’organizzazione populista che non ha rispetto per la verità. Dal momento che c’è una maggioranza araba, adotta di continuo risoluzioni contro Israele. A luglio ha preso una decisione oltraggiosa, affermando che Gerusalemme non è più la base del popolo ebraico. Donald Trump, che ha ottime relazioni con Netanyahu e supporta Israele all’Onu, ha promesso che gli Stati Uniti, che sono i più grandi contributori dell’Unesco, cesseranno di finanziarla. Ora c’è stato un accordo fra Israele e gli Stati Uniti per abbandonare l’organizzazione.
Secondo lei esiste un pregiudizio anti-israeliano all’interno dell’Onu?
Dal 1967, quando c’è stata la guerra dei sei giorni, l’Onu accusa Israele di rifiutare la pace, e condanna gli insediamenti e le sue politiche sul territorio. Anche prima del 1967 abbiamo avuto problemi di accuse razziste e fasciste all’interno delle Nazioni Unite. Sappiamo tutti che l’Onu è contro il governo israeliano, non solo sul problema palestinese, ma su qualsiasi cosa faccia, e questo perché c’è una maggioranza araba. Anche Stati come la Giordania e l’Egitto, che con Israele hanno un trattato di pace, votano sempre contro di noi.
C’è la possibilità che un domani Israele abbandoni l’intera organizzazione?
Non lasceremo l’Onu: lotteremo e sappiamo che alla fine riusciremo a convincerli che siamo dalla parte del giusto nella maggior parte dei casi. Gli israeliani soffrono di continuo per colpa di attività terroristiche musulmane. Io stesso spesso critico la politica del mio governo per il processo di pace. Ma non importa quale sia la verità, l’Onu nel 90-95% dei casi vota contro Israele.
Cosa è cambiato con l’amministrazione Trump rispetto a Obama nei rapporti fra Washington e Tel Aviv?
All’inizio Obama sembrava capire la nostra posizione. Ma alla fine del suo mandato sembra aver cambiato idea. Si è cercato ogni tipo di scusa: ad esempio il suo credo musulmano, o la sua simpatia per gli Stati mediorientali. Non credo siano queste le ragioni. Obama credeva che le cose nel mondo vanno cambiate sempre e comunque con i negoziati e non con le guerre, da qui l’accordo sbagliato con l’Iran sul nucleare. Adesso Trump si schiera contro l’accordo e supporta fortemente Israele: io spero che Trump resti un altro mandato, ma nessuno può saperlo.
A proposito di accordo sul nucleare iraniano, perché gli israeliani esultano per la decisione di Trump di abbandonarlo?
Israele è stato il primo paese al mondo a suonare il campanello per avvisare che l’Iran stava sviluppando un piano nucleare, anche se gli iraniani sostenevano che fosse volto al mantenimento della pace. Siamo stati i primi a denunciare la necessità di sanzioni contro il regime iraniano. Dal momento in cui le abbiamo introdotte l’Iran ha sofferto: non poteva più vendere il petrolio, tutti gli Stati occidentali hanno congelato i suoi conti bancari. Quando Obama e l’UE hanno concluso l’accordo con l’Iran hanno eliminato tutte le sanzioni. È stato un errore: se il mondo occidentale avesse voluto fare un accordo con l’Iran, avrebbe dovuto rimuovere le sanzioni lentamente, una ad una, non tutte insieme.
Non crede che abbandonare l’accordo ridarà voce alle forze estremiste in Iran?
Credo che la situazione politica interna in Iran sia molto interessante. C’è una forte opposizione contro il governo, ma non forte abbastanza da far crollare il regime. Alcuni Stati europei stanno cercando di incoraggiare le opposizioni interne in Iran per sostituire il regime, ma per adesso non sta funzionando.
Perché allora questi Stati non tagliano le relazioni con il governo di Rohani?
Non è così facile tagliare le relazioni: ad esempio la maggior parte dei capitali iraniani si trova in banche americane ed europee. D’altro canto l’Iran è il più grande produttore di petrolio, e i Paesi occidentali sono dipendenti dalle esportazioni iraniane. Non è un caso che da quando è entrato in vigore l’accordo tutte le compagnie occidentali sono tornate a Teheran. Noi israeliani crediamo ancora che ci possa essere un cambio di regime in Iran, un avvicinamento alla coalizione occidentale, ma non accadrà domani.
Perché l’Iran è una minaccia per Israele?
Gli iraniani quasi tutti i giorni affermano che non c’è esistenza possibile per gli ebrei in Israele, che devono essere eliminati e cancellati dalla mappa geografica. Teheran ha una grande influenza sulle organizzazioni terroristiche, e ai nostri confini settentrionali, nelle alture del Golan, ci sono moltissimi soldati iraniani. Infine l’Iran è pesantemente coinvolto in Libano, nella striscia di Gaza con Hamas, in Siria accanto ad Assad con gli Hezbollah. È una minaccia reale, non solo mediatica, alla sicurezza israeliana.
Cosa è cambiato nelle relazioni fra Israele ed Iran da quando a Teheran c’è Rohani?
Israele aveva ottime relazioni con l’Iran durante il regime dello Scià. Quando è stato cacciato e Khomeini ha preso il potere, le relazioni sono state interrotte. Da quel momento siamo rimasti nemici per 40 anni: oggi non esiste nessuna relazione diplomatica e l’Iran è il nostro peggior nemico.
Come viene vista la crescente influenza iraniana in Siria, Libano e Iraq?
È seguita con molta apprensione in Israele. Durante l’ultimo incontro con Putin, Nethanyahu ha chiesto alla Russia di impedire alle forze iraniane di stanziare in Siria. Putin non ha fatto nulla. L’Iran ambisce all’egemonia in Medio Oriente, e sta lottando per ottenerla assieme alla Turchia e all’Egitto. Tutti i movimenti sciiti del terrore ricevono armi, finanziamenti e logistica dall’Iran. Hezbollah oggi possiede 120.000 missili, la maggior parte dei quali di fabbricazione iraniana. Provengono dal Sudan, passano per la penisola del Sinai fino alla striscia di Gaza.
Per questo avete bombardato in Siria a settembre?
I bombardamenti che sta facendo Israele sono contro le armi che provengono dall’Iran attraverso l’aeroporto di Damasco e portate in Libano contro Israele. Stiamo cercando di tagliare la catena di produzione dall’Iran fino in Siria e ad Hezbollah.
Ora che l’Iran costituisce una minaccia comune, è in corso un riavvicinamento fra sauditi e israeliani?
Ultimamente le relazioni confidenziali fra Arabia Saudita e Israele stanno migliorando. La prima ragione è la comune minaccia iraniana. La seconda è la lotta all’islam radicale.
Siamo alle porte di una nuova stagione fra mondo arabo ed Israele?
Una possibilità per il futuro è che gli Stati Uniti si mettano alla guida di una specie di ombrello che riunisce Israele, Giordania, Egitto, Arabia Saudita e i Paesi del Golfo. Sotto quest’ombrello, con il supporto dei Paesi arabi, potremo rinegoziare la situazione in Palestina. È nell’interesse israeliano, in quello americano e saudita unire le forze e creare un nuovo ordine nel Medio Oriente.
È vero che il principe Mohammed bin Salman si è recato in visita in Israele a settembre?
Io non conosco la verità. So che alcuni media hanno riferito di una missione segreta. È qualcosa che può accadere in Israele e nel Medio Oriente. Senz’altro ci sono voci in Israele secondo cui le relazioni fra ufficiali sauditi e israeliani stanno migliorando rapidamente.
Pochi giorni fa al Cairo è stato firmato un patto fra Hamas e al Fatah per un governo di conciliazione palestinese. È un passo in avanti per la pace in Terra Santa, o sono solo tatticismi?
Quel che è accaduto è positivo per Israele. È un buon segno che la sicurezza nella striscia di Gaza passi sotto il controllo di Abū Māzen. Probabilmente è solo un passo tattico, Hamas si ritrova in una situazione economica disperata. Il nuovo governo inizierà il primo dicembre, vedremo se funzionerà. Io spero che funzioni, perché l’arrivo dell’Autorità Palestinese nella striscia di Gaza allontanerà lo scontro fra Israele ed Hamas. Ma sono sospettoso, nel passato abbiamo visto tante volte formarsi un governo e poi disfarsi subito.
Il patto è stato reso possibile grazie alla mediazione dell’Egitto. Come è visto il presidente Al Sisi dagli israeliani?
Al Sisi è un leader molto forte, è in relazioni piuttosto buone con Netanyahu, ed ha interesse che fra Israele e la Palestina ritorni la quiete. Israele riconosce che Al Sisi non sta agendo contro i suoi interessi: talvolta infatti gli interessi egiziani e quelli israeliani sono gli stessi.
Quali interessi?
Ad esempio l’Egitto in questo momento sta soffrendo pesantemente per gli attacchi delle fazioni islamiste e non ama Hamas, perché sono musulmani e legati alla Fratellanza Islamica egiziana.
Le risulta che l’Isis abbia legami con alcuni gruppi terroristici palestinesi?
Ci sono dei legami, ma non con tutte le organizzazioni. L’Isis è sunnita, e non esercita alcuna influenza diretta sulle organizzazioni sciite come Hezbollah. Tuttavia si può percepire il fascino che lo Stato islamico e i suoi attentati in Europa hanno su tutte le organizzazioni terroriste in Medio Oriente.
Come funziona oggi la prevenzione anti-terrorismo in Israele?
Israele è lo Stato con più esperienza al mondo nella lotta al terrorismo. Per combattere i terroristi bisogna essere estremamente precisi nella raccolta dell’intelligence, non ci si può affidare alla sorte. Noi sventiamo l’85-90% degli attacchi terroristici prima che siano messi in atto e abbiamo diecimila persone che lavorano nell’intelligence.
A che punto è secondo lei il contrasto del terrorismo in Europa?
Per sconfiggere il terrore l’Europa deve essere pronta, e oggi ancora non lo è, a mettere da parte la privacy e alcuni diritti civili. Bisogna essere pronti a combattere 24h al giorno, 365 giorni l’anno. Anche la popolazione deve fare la sua parte: in Israele quando entri in un autobus controlli prima che non ci siano pacchi abbandonati sotto i sedili o individui sospetti.
Quali Paesi europei stanno lottando meglio contro il terrorismo?
Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia hanno fatto grande esperienza in passato con il terrorismo politico. Ma non è abbastanza contro l’attuale ondata di terrore, che arriva anche dai rifugiati e dalle comunità musulmane. Per questo, fra le altre misure di prevenzione, è necessario controllare meglio il fenomeno migratorio.
(Foto: www.yeshatid.org.il)