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Come si sta muovendo Trump dopo la strage di Las Vegas

Ci si è ormai talmente abituati a un certo genere di comportamento rivoluzionario, a tratti sgangherato e pasticcione, che la postura con cui il presidente americano Donald Trump sta affrontando il post-strage di Las Vegas sembra quasi un’eccezione. Dal discorso alla nazione tenuto a caldo lunedì, dalla Diplomatic Room della Casa Bianca (nomen omen), per ora colui che usò politicamente l’attentato jihadista di Orlando durante la campagna elettorale, non ne ha sbagliata una. Ossia: ha fatto il presidente, è stato “presidenziale” s’è detto più volte, cose normali, in un momento però in cui di normale non c’è molto.
LE RASSICURAZIONI E IL TEST
Ha parlato rassicurando i cittadini, e oggi, mercoledì 4 ottobre, sarà a Las Vegas per marcare la sua presenza e vicinanza alla comunità colpita dalla più grossa strage della storia americana, seguiranno le mosse politiche. L’attacco di Stephen Paddock contro la folla – ancora senza una matrice credibile – è un grosso test per la Casa Bianca, che arriva dopo tre pesanti uragani che sono stati un altro, primo vero esame politico per Trump su una questione non auto-indotta (come molte delle beghe che l’amministrazione ha dovuto affrontare, frutto di scontri interni o con il partito), ma piombata sugli Stati Uniti dall’esterno, per cause di forza maggiore.
LE PRESSIONI
Trump è molto pressato sul tema profondo dietro a quello che è accaduto a Las Vegas: il “gun control”. Martedì, arrivato a Puerto Rico per toccare con mano i danni dell’uragano Maria, ha detto fugacemente che “parleremo più avanti delle armi”, ma l’opposizione (dai democratici ai vari movimenti) è tutta già sul punto. In effetti, che si tratti di un attentato dello Stato islamico o del gesto di un “pazzo”, come l’ha chiamato Trump, l’effetto dell’azione è stato moltiplicato dalla possibilità concessa dallo stato del Nevada di possedere armi senza controlli: Paddock aveva con sé un arsenale lecito, portava migliaia di munizioni, aveva acquistato online un sistema per rendere i suoi fucili d’assalto automatici e massimizzarne l’effetto (a discapito della precisione, ma è un aspetto relativo quando si spara nel mucchio).
UN ARGOMENTO PREMATURO
Anche il direttore degli affari legislativi della Casa Bianca, Marc Short, ha detto che “è prematuro” discutere provvedimenti per il controllo delle armi (diffusione, quantità, tipologie, accessori, munizionamento), e pure lo Speaker della Camera Paul Ryan è sulla stessa lunghezza d’onda – in un raro allineamento tra testa dell’amministrazione e partito. Steve Bannon, stratega trumpiano ora fuori dagli incarichi ufficiali ma potente voce del trumpismo via Breitbart News, ha già detto invece che se mai Trump decidesse di sposare provvedimenti per il gun control “sarebbe la fine di tutto”. Dato: la percentuale di famiglie che possiedono armi è in calo da diversi anni, lo dice un’analisi del Washington Post, però è aumentata la quantità generale delle armi in circolazione, perché chi le detiene ne ha raddoppiato il numero in possesso rispetto al 1994 (una polarizzazione che segue un specie di trend generale del momento: le posizioni si inaspriscono, chi niente chi tanto).
PERCHÉ LE ARMI
Il discorso sul possesso di armi è ampio, lungo, profondo, e passa da un diritto costituzionale sancito dal Secondo emendamento, foraggiato dai soldi delle aziende produttrici. Peggy Noon, columnist del Wall Street Journal ed ex speechwriter del presidente Reagan, durante il programma di approfondimento giornalistico “Morning Joe” ha tagliato il senso del perché ci sono così tante armi adesso: c’è la sensazione che la società stia crollando, la (nostra) cultura è crollata, dice Noonan, “il mondo sta crollando”, “ci sono persone con un taglio di capelli assurdo che hanno in mano un arsenale nucleare” (il riferimento è al dittatore coreano Kim), “tutto sta andando male”, e per questo gli americani “vogliono essere completamente armati sulla loro collina, a casa. … sono americani e vogliono scendere a combattere “.
LA SFIDA DI TRUMP
 Dall’altro polo della questione fanno eco le parole di Caleb Keeter, chitarrista di uno dei gruppi country che si stava esibendo sul palco durante il massacro: “Sono stato un sostenitore del [Secondo] emendamento per tutta la mia vita. Fino a quanto successo l’altra sera. Non riesco a spiegare quanto fossi nel torto”. La sfida è aperta per Trump: il presidente è molto vicino al top lobbista della National Rifle Association Chris Cox, e sente con l’NRA una relazione privilegiata che dovrebbe tenerlo a freno su interventi a favore del controllo. Gli insider attorno a lui però dicono ai giornali americani di non avere la certezza fino in fondo, perché il presidente ha gongolato molto per il consenso ottenuto quando ha preso strade bipartisan con i democratici (tipo sul debito e sui Dreamers): e il consenso è il faro di Trump; il controllo delle armi è invece un pallino democratico da anni.
(Foto: White House Photo, il minuto di silenzio dopo l’attacco di Las Vegas)

 

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