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Perché gli Stati Uniti vogliono uscire dall’Unesco

Gli Stati Uniti hanno formalmente comunicato all’Unesco la volontà di ritirarsi dall’organizzazione a causa della persistente posizione presa contro Israele e dei costi; la decisione sarà definitiva il 31 dicembre 2018. Washington ha fatto sapere che resterà all’interno della United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization come stato osservatore, “per contribuire con opinioni, prospettive e competenze” (le virgolette sono della nota ufficiale uscita dal dipartimento di Stato americano).

La decisione è stata formalizzata oggi 12 ottobre alla sede parigina dell’agenzia che ha come finalità quella di promuovere la pace tra le nazioni attraverso la cultura, ma che in questi ultimi anni ha assunto invece posizioni lette come divisive soprattuto sul macro-tema del conflitto israelo-palestinese: si ricorderà, per esempio, che mesi fa l’Italia votò contro a una risoluzione interna all’organizzazione che mirava a smaterializzare il collegamento storico tra lo Stato ebraico e il complesso religioso della città santa di Gerusalemme. Il pregiudizio anti-israeliano è stato anche la motivazione che ha portato gli Stati Uniti a sospendere il proprio finanziamento all’Unesco già nel 2011 (sotto l’amministrazione Obama) a seguito dell’inclusione della Palestina come Stato membro.

Sulla base di quello che scrive Foreign Policy, il primo a dare la notizia, dietro alla mossa americana non ci sarebbe soltanto la questione israeliana. Washington avrebbe deciso di ritirarsi perché l’amministrazione Trump vede l’Unesco come una delle sanguisughe multilaterali che succhia denaro agli Stati Uniti – che, nonostante la sospensione dei finanziamenti, partecipano a programmi avviati i quali negli ultimi sei anni sarebbero costati oltre 500 milioni di dollari.

E questa sarebbe perfettamente la linea di Donald Trump: il ri-bilanciamento, interessato (e politicizzato con l’America First) dell’impegno globale americano. La direttrice dell’agenzia, Irina Bokova, ha detto di provare profondo dispiacere per l’annuncio americano, che è una perdita per la “famiglia dell’Onu” e per il multilateralismo. Ed è esattamente quello che Trump vuole, infliggere danni al sistema globale multilaterale per avvantaggiare i più nazionalistici approcci bilaterali.

Commento sferzante quello di Richard Haass, presidente del Council on Foreign Relations e uno dei forse-ex fari di Trump in politica estera, ultimamente piuttosto virulento sull’amministrazione: “La politica estera di Trump ha trovato il suo tema: il ritiro” ha twittato, elencando i vari accordi/meccanismi internazionali dai quali il presidente americano ha ritirato o minacciato di farlo gli Stati Uniti, dall’accordo di Parigi sul Clima al Nafta con Messico e Canada, al TPP a quel Nuke Deal con l’Iran.

Con l’Unesco gli Stati Uniti però hanno avuto un rapporto complicato da anni: si erano già ritirati sotto Ronald Reagan, che incolpava l’agenzia di essere corrotta e schierata coi sovietici – era stato George W. Bush nel 2002 a riportare Washington nell’organizzazione, dicendo che i pregiudizi anti-occidentali di anni prima erano venuti meno.


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