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Che cosa farà ora Puigdemont in Catalogna. Parla il prof. Cherubini (Luiss)

“Giunti a questo momento storico, come presidente della Generalitat, presentando i risultati davanti al Parlamento e ai nostri cittadini, assumo il mandato di trasformare la Catalogna in una repubblica indipendente”. Con queste parole ieri sera Carles Puigdemont, presidente della Catalogna, ha rotto gli indugi, dopo un lungo discorso al parlamento catalano di dura condanna al governo di Madrid e alla corona, mantenendo fede alla promessa fatta all’indomani del referendum: la Catalogna proclamerà la sua indipendenza. Resta ora da capire con quali tempi Puigdemont, che auspica “un dialogo senza il quale non sarebbe possibile giungere ad una soluzione concordata”, intende raggiungere l’obiettivo, e soprattutto come reagirà il governo di Mariano Rajoy. Per fare chiarezza abbiamo chiesto un commento a caldo a Francesco Cherubini, professore di Diritto dell’Unione Europea alla Luiss. Ecco la sua conversazione con Formiche.net:

Professor Cherubini, si aspettava dal discorso di Puigdemont toni così duri?

I toni sono stati sicuramente duri, ma pur sempre con un’apertura al dialogo. Puigdemont ieri ha capito, dopo gli sviluppi degli ultimi giorni, che un’immediata dichiarazione unilaterale di indipendenza non era un’opzione. La strada tracciata però è molto chiara: una volta sentito il parlamento e aperto un dialogo con Madrid, la dichiarazione ci sarà.

Epppure il movimento indipendentista sembra perdere forza, specie dopo il passo indietro del sindaco di Barcellona Ada Colau…

Il sindaco di Barcellona ha detto molto chiaramente che un referendum non può costituire una base sufficiente né giuridica né politica per una dichiarazione di indipendenza, ed è senz’altro vero. È in corso un dibattito nel parlamento catalano: una frangia degli indipendentisti non ha applaudito il discorso del presidente, dunque rimane uno scenario variegato, Puigdemont deve ancora fare i conti con le posizioni più intransigenti.

Puigdemont ha più volte condannato gli episodi di violenza della Guardia Civil. Che prezzo ha pagato Rajoy per gli scontri nel giorno del referendum?

Quegli episodi sono stati condannati perché i diritti umani dei manifestanti sono stati apertamente violati. Così facendo Rajoy ha acceso la miccia e polarizzato lo scontro ancora più di prima. Il giorno del voto non ci si trovava ancora in una situazione senza via di uscita, c’era la possibilità di dialogare. Se le immagini delle violenze non avessero fatto il giro del mondo, la manifestazione degli unionisti tenutasi qualche giorno dopo avrebbe minimizzato i risultati del referendum. Sotto il profilo giuridico, non c’è dubbio che quelle della Guardia Civil siano violazioni conclamate e plateali dei diritti fondamentali.

Ieri il leader catalano ha voluto rivolgersi a tutta la popolazione, non solo agli indipendentisti della regione. Un appello giunto troppo tardi?

Io credo che un negoziato sul referendum, non sulla sostanza delle rivendicazioni, avrebbe tolto in tempo le castagne dal fuoco. Non c’è stata da parte di Madrid una grande volontà di negoziare. D’altra parte, se il governo catalano avesse tentato di negoziare prima il referendum, oggi l’appello a tutta la popolazione spagnola sarebbe più credibile. Questo è stato fatto ad esempio con il referendum in Scozia, anche se poi ha dato esito negativo. La consultazione catalana invece dal punto di vista tecnico e del rispetto del principio democratico non è condivisa.

Puigdemont nel suo discorso è tornato a più riprese sul tema della democrazia per difendere la causa indipendentista. Davvero è stato rispettato il principio democratico nelle procedure per il voto?

La mia sensazione è che non sia stato così. C’è da dire che in questo periodo il “principio democratico” è spesso abusato e interpretato male: non è un valore assoluto, è uno strumento all’interno del concerto dei principi fondamentali dello stato di diritto. Anche alle elezioni del partito nazionalsocialista del 1932 è prevalsa la volontà del popolo. Il principio democratico deve trovare il suo posto all’interno del generale contesto costituzionale: forzare la mano con un referendum invocando tale principio significa disconoscere il testo costituzionale, calpestarlo, e la Costituzione appartiene a tutti. Non mi sembra che questo sia in linea con lo stato di diritto.

Quindi il referendum catalano, passato con la maggioranza dei voti, non rispetta il principio democratico?

Un grande liberale francese come Pascal Salin fa questo esempio: immaginiamo un villaggio dove ci sono 100 abitanti. 45 vogliono spogliare di tutti i loro beni gli altri 55, ma non possono farlo senza una maggioranza. Cercheranno dunque di vincere le elezioni, e se arriveranno al 51% potranno accanirsi sul resto del 49%. Questa non è democrazia. In democrazia la volontà popolare deve essere inserita in un contesto di rispetto dei diritti umani fondamentali.

Suona simile alle argomentazioni dei sostenitori del remain per il voto sulla Brexit…

Non direi, in quel caso tutto è stato fatto secondo le norme. Con un’argomentazione forse discutibile autorevoli studiosi lamentano che, per la posta in gioco con la Brexit, serviva una soglia di maggioranza più solida del 51%. A mio parere in quel caso semmai il principio democratico non è stato rispettato in pieno quando è stato negato il voto ai cittadini britannici residenti all’estero. Se avessero votato, probabilmente il referendum avrebbe avuto altro esito.

A giudicare dalle parole di Puigdemont ieri contro la “legge egemonica” di Madrid, e dalle urla dei manifestanti in piazza contro i “fascisti” unionisti, sembra che il retaggio del franchismo pesi ancora molto in Catalogna…

La Catalogna ha avuto un ruolo molto importante nella lotta al regime. C’è un meraviglioso libro di Orwell che si chiama “Omaggio alla Catalogna”, e racconta i passaggi della guerra civile in cui i catalani sono stati protagonisti. Non solo, la Catalogna ha fatto da traino per l’uscita dal franchismo economico e poi per l’entrata della Spagna nell’Unione Europea.

Dal 1978 la Spagna è mai riuscita a divenire un vero stato regionale?

Questa è una valutazione politica che non spetta a me fare. Certo, data l’evoluzione degli eventi, evidentemente le istanze autonomiste non sono state sufficientemente accolte dal governo centrale spagnolo. Se ci si è ridotti a questi termini è anche perché la questione regionale è stata gestita molto male.

Il governo di Barcellona è in conflitto con le forze dell’ordine leali a Madrid e con la stessa magistratura catalana, accusata da Puigdemont di essere nominata dalla politica spagnola. Le imprese fuggono dalla Catalogna spostando le loro sedi legali altrove. Su quali presupposti può nascere uno Stato catalano indipendente?

I presupposti sono molto deboli. Prima o poi, o al tavolo negoziale, oppure nelle strade, come purtroppo è già successo, qualcosa accadrà. L’auspicio è che il governo di Madrid e gli indipendentisti catalani vengano a più miti consigli, trovando una soluzione che mantenga la Catalogna all’interno della Spagna, magari con un’autonomia maggiore e la prospettiva di rivedere questa posizione in negoziati di più lungo periodo.


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