Nell’agosto 2014 le prime pagine di tutte le principali testate internazionali erano dedicate all’avanzata dello Stato Islamico e a un popolo di cui pochi fino a quel momento avevano sentito parlare: gli Yazidi. Balzarono agli onori delle cronache loro malgrado perché le milizie di al-Baghdadi li stavano sterminando sistematicamente. Solo allora, l’opinione pubblica mondiale venne a conoscenza di questa gente, che pratica una delle religioni monoteiste più antiche dell’umanità.
Oggi gli Yazidi rischiano di scomparire, non solo a causa dello sterminio da parte di Daesh, ma anche per la diaspora alla quale sono stati costretti e i traumi psicologici a cui sono stati sottoposti. Il libro di Simone Zoppellaro, Il genocidio degli Yazidi (Guerini e Associati, 14,50 euro), si propone l’obiettivo di fare conoscere meglio questo popolo e soprattutto di non fare dimenticare quella che è stata una delle pagine più violente nella storia del Medioriente degli ultimi decenni. Nel 2014 erano circa 514mila, oggi almeno 300mila vivono sparsi per il mondo, 165mila in Germania, un Paese che ha dimostrato una particolare sensibilità al dramma di questo popolo che, oggi, dopo anni di violenze, rischia di perdere la sua identità di comunità a causa dello smembramento e dei traumi a cui è stato sottoposto, che spesso si traducono in disturbi psichici e depressione.
Il libro di Zoppellaro parte da un campo profughi in Nord Iraq che ospita oltre 18mila Yazidi e tramite il racconto di una delle giovani che sono riuscite a sopravvivere alla barbarie dello Stato Islamico, parte un viaggio all’interno di questa minoranza antichissima, facendo luce sui fondamenti che caratterizzano il loro credo, definito dall’autore più una filosofia di vita che una vera e propria religione e indagando come lo yazidismo abbia attinto e sia stato contaminato dalle confessioni dell’area, incluso il sufismo.
Una particolare attenzione è dedicata alle persecuzioni che gli Yazidi hanno subito soprattutto a partire dall’anno mille e soprattutto a opera degli Arabi. Persecuzioni che sono diventate ancora più strutturate sotto la dittatura di Saddam Hussein. I drammi non sono finiti nemmeno con la sua caduta, perché il vuoto di potere è stato colmato da sigle jihadiste che consideravano, sbagliando, gli Yazidi degli “adoratori del diavolo”.
Nelle mani dei terroristi ci sono ancora circa 3000 prigionieri, per la maggior parte donne usate come schiave del sesso e bambini come attentatori suicidi. Un orrore che l’Occidente non deve dimenticare, riconoscendo lo sterminio degli Yazidi come genocidio.