Catalogna: un enigma racchiuso in un mistero. Resta inesplicabile cosa abbia spinto le parti a trovarsi in questo cul-de-sac. Ora, piano piano, ci si risveglia come dopo una sbornia: non ci si raccapezza più di come si sia giunti a questo punto, non si sa come uscirne. I due estremi continuano a battersi senza sapere dove ciò li potrà condurre: c’è da restare annichiliti.
I Popolari del premier Rajoy sono arroccati su una giusta posizione di principio, costituzionale e legittima, ma senza darsi possibilità di manovra politica. Non si potrà lucrare all’infinito sulla questione catalana, urgono soluzioni pratiche. I socialisti si sono accodati ma non c’è da illudersi: le divisioni interne – che li hanno portati verso il baratro – non saranno curate da una crisi di tale portata.
Le conseguenze non hanno risparmiato nemmeno i partiti che non hanno partecipato direttamente allo stallo, Podemos e Ciudadanos. Quest’ultimo è addirittura sorto a Barcellona, i suoi leader sono per lo più catalani. Si presentava come una forza di centro liberale moderna, una specie di “montiani” spagnoli con più successo. Volevano togliere al Partito Popolare – inquinato da molti scandali – il protagonismo a destra con movenza moderata, lontana da ogni possibile evocazione del franchismo. Ma ora i sofisticati e competenti quadri di Ciudadanos sono schiacciati sulle posizioni popolari, anzi li scavalcano a destra, senza idee.
All’opposto dello schieramento è ancora peggio. Podemos esce a pezzi dalla contesa catalana: il partito si è spaccato tra indipendentisti e autonomisti, complici le posizioni ambiguissime del leader Iglesias. L’unica personalità politica ancora pragmaticamente alla ricerca di soluzioni è la sindaca di Barcellona, Ana Colau. Il problema è che la sua platea per ora si limita alla Catalogna. La alcaldesa ha fatto votare il suo consiglio comunale No all’indipendenza e No all’articolo 155 che ha azzerato le istituzioni catalane. A parte le finte e interessate offerte di Iglesias, è l’unica in grado di riannodare – almeno in loco – il filo del dialogo. Ana Colau dice che “l’indipendenza non è uno stato d’animo”, ma sa anche che la distanza psicologica ed emotiva tra Barcellona e Madrid sarà complicata da ridurre. E’ un compito delicato: chi ha tentato di avvantaggiarsene politicamente è rimasto scottato.
Le prossime elezioni regionali di dicembre potrebbero vedere i due blocchi allontanarsi ancor di più, con un rafforzamento dei repubblicani (ERC) da sempre indipendentisti e l’inizio della fine del grande partito autonomista (ex Convergencia ora democratici catalani): un disastroso suicidio politico per questi ultimi. Sarà possibile rieditare la strana coalizione “destra-estrema sinistra” sul programma indipendentista? Rajoy aspetta: ha esperienza e sa come tenersi in bilico in condizioni complesse. Il suo governo è debole e tuttavia questa forse è la sua forza: nessuno può accusarlo di “totalitarismo”, appeso com’è all’astensione socialista.
La domanda che si impone è: resteremo al braccio di ferro o emergerà una terza opzione? Non è certo che i rapporti di forza mutino completamente. Di conseguenza presto o tardi ci sarà bisogno di intessere un dialogo nazionale su tale crisi. Di dialogo parlano quelli del movimento bianco Parlèm-Hablemos che progressivamente stanno conquistando la piazza e il web. Dopo che le emozioni separatiste, e specularmente quelle nazionaliste, sono state riscaldate al calor bianco, giungerà il momento di chi non ha preso parte a tale contesa? I vescovi, ancor prima del referendum, hanno parlato con parole sagge: un solo Stato per molti “popoli spagnoli”. Ma i catalani ancora rinfacciano a Soraya Saenz de Santamaria, la vice del premier, di aver fatto saltare quel “nazione catalana” nel nuovo statuto del 2006. Alla fin fine le parti dovranno pur tener conto della paura del salto nel buio che serpeggia tra la gente: questa situazione non farà bene all’economia spagnola e catalana. O si torna a parlare o il risveglio può essere davvero brutale.