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Catalogna, come e perché Madrid è passata dalle parole alle manette

Mariano Rajoy - Imagoeconomica

Otto consiglieri del governo catalano arrestati, la presidente del parlamento sotto osservazione della polizia assieme a decine di altri parlamentari indipendentisti, e in settimana si attende la richiesta di un mandato di arresto europeo per Carles Puigdemont. È ufficialmente finito il tempo delle trattative fra Madrid e Barcellona. Dalle parole di fuoco nelle ultime settimane del premier Mariano Rajoy, deciso a far rispettare la legalità costituzionale dopo la dichiarazione di indipendenza unilaterale della Generalitat, si è passati alle manette.

L’EX GOVERNO IN MANETTE

Dalle 19.30 di giovedì sera, su ordine del giudice dell’Audiencia Nacional Carmen Lamela, Oriol Junqueras, ex vice-presidente dell’esecutivo catalano e volto di primo piano della battaglia indipendentista, è rinchiuso a Madrid nel carcere Estremera. Con lui hanno varcato l’entrata della prigione (qui il video) su un furgone cinque ex ministri catalani: Jordi Turull, Josep Rull, Carles Mundò, Raul Romeva, e Joaquim Forn. Chiudono il cerchio dei ministri detenuti due donne: Dolors Bassa e Meritxell Borras, trasferite invece nel carcere femminile di Alcalà. Sale a dieci dunque il conto degli indipendentisti finiti dietro le sbarre, dopo l’arresto di due settimane fa di Jordi Cuixart e Jordi Sanchez, leader rispettivamente di Anc e Ómnium Cultural, le principali organizzazioni secessioniste.

LE ACCUSE

I reati di cui la Procura spagnola accusa i catalani sono pesantissimi: ribellione (art. 472 ss. Codice penale), malversazione (art. 432 ss.), sedizione (art. 544 ss.), e possono portare a una condanna a un minimo di 5 anni fino a 30 anni. Dalle accuse non sono esenti i parlamentari della Mesa del Parlament che hanno votato a favore della dichiarazione di indipendenza, a partire dalla presidentessa Carme Forcadell. Per sei di loro il Tribunale Supremo ha disposto un controllo di polizia, fissando per il 9 novembre le deposizioni in aula degli accusati (qui gli aggiornamenti live de El País). Unica eccezione nella retata di giovedì: l’ex ministro Santi Vila, dimessosi dal governo catalano il giorno prima della dichiarazione unilaterale, può ottenere la libertà condizionata pagando una cauzione di 50.000 euro. Ma, riporta Repubblica, il suo avvocato ha già messo le cose in chiaro: Santi Vila chiederà le manette “assieme agli altri compagni per solidarietà”.

LE PROTESTE IN CATALOGNA

Come in molti avevano previsto, le immagini degli ex ministri catalani trasportati in prigione con le manette ai polsi hanno gettato benzina sul fuoco nella regione ribelle. Ancora una volta a Barcellona una folla di migliaia di manifestanti ha circondato il palazzo della Generalitat al grido di “Libertat”, sulle note dell’inno catalano Els Segadors. Questa volta si sono unite alle proteste del capoluogo altre città come Tarragona, Lleida, Girona e Badalona. Dura la sindaca di Barcellona Ada Colau, che pure si era mostrata scettica dei piani secessionisti all’alba del referendum del 1 ottobre. “È un giorno nero per la democrazia. Siamo davanti a uno sproposito giuridico e un grande errore politico che ci porta all’autoritarismo” si legge sul suo profilo twitter. Sullo stesso social network si sprecano le condivisioni dell’ultimo appello di Junqueras prima del carcere: “Il governo legittimo della Catalogna incarcerato per le sue idee e per essere stato fedele al mandato approvato dal parlamento catalano”.

LA ROTTURA DELL’ALLEANZA FRA I PARTITI SPAGNOLI

L’arresto dei ministri vicini a Puigdemont è riuscito a creare una spaccatura all’interno del fronte unionista, rompendo quella solidarietà di fatto che aveva visto compatti contro le pretese secessioniste di Barcellona partiti politici agli antipodi per storia e programma. A rompere le fila è Pablo Iglesias, leader di Podemos. “Mi vergogno che nel mio paese si mettano in carcere gli oppositori”, ha twittato giovedì pomeriggio, puntando il dito su Rajoy, che vuole “incendiare la Catalogna per un puro calcolo elettorale”, ma anche contro i socialisti dello Psoe, con cui Podemos aveva stretto un patto lo scorso giugno per un pacchetto di riforme, inclusa quella della Costituzione, e che ora sono nel mirino di Iglesias per aver votato a favore dell’articolo 155 con i populares.

IL MANDATO EUROPEO DI ESTRADIZIONE

Dal pomeriggio fino a tarda sera l’ex presidente Carles Puigdemont, che da lunedì è a Bruxelles, in attesa di un’ (improbabile) concessione di asilo politico, assieme a quattro ex ministri, Antoni Comín, Meritxell Serret, Lluís Puig e Clara Ponsatí, ha tuonato contro il blitz di Madrid. Prima incitando i catalani a una protesta pacifica contro “Il clan furioso del 155 che vuole la repressione”. Poi la sera intimando a Rajoy “come presidente legittimo della Catalogna” il rilascio dei ministri arrestati.

Si attende in settimana la richiesta della Procura di Madrid di un mandato di arresto europeo (EAW) per Puigdemont e i suoi colleghi rifugiatisi in Belgio. Ora la palla passa nella metà campo belga, perché solo il governo di Bruxelles può concedere l’estradizione. Una procedura non semplice, e che ad ogni modo potrebbe protrarsi per lungo tempo. Il mandato di arresto europeo è definito dalla decisione quadro dell’UE 584 del 13 giugno 2002. I casi in cui è ammessa l’estradizione di un ricercato straniero sono elencati tassativamente all’art. 2: terrorismo, partecipazione ad un’organizzazione criminale, traffico di armi o di esseri umani, per citarne alcuni. Nella casistica rientravano abbondantemente ad esempio i reati commessi da Salah Abdeslam, il terrorista responsabile delle stragi di Parigi del 13 novembre 2015, consegnato dai belgi ai francesi in tempi relativamente brevi. Ma nella lista non c’è traccia dei reati di sedizione, ribellione e malversazione, cioè quelli che contesta la procura spagnola ai detenuti catalani.

COSA FARÁ IL BELGIO?

Dal Belgio per il momento arrivano risposte caute. Il Primo ministro Charles Michel, informato dell’arrivo di Puigdemont, si è limitato a chiarire in un comunicato che “Il signor Puigdemont dispone degli stessi diritti e doveri di ogni cittadino europeo, né più né meno” e che il governo di Bruxelles “veglierà sul rispetto dello stato di diritto”. Ad ogni modo, secondo il The Guardian la battaglia legale per portare Puigdemont davanti a una corte spagnola “potrebbe durare mesi, se non anni”. Qualsiasi decisione di un tribunale belga può essere appellata a una corte superiore. E comunque la legge europea permette a un Paese di rifiutare l’estradizione se l’accusato è ricercato sulla base del suo “sesso, razza, religione, origini etniche, nazionalità, linguaggio, opinioni politiche e orientamento sessuale”.

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