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Perché è attuale il pensiero di Sturzo

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Nelle tenebre della notte della politica italiana risplende un forte raggio di luce. Si è chiusa a Roma, nel Palazzo Apostolico Lateranense, la fase diocesana della Causa di Beatificazione del Servo di Dio Don Luigi Sturzo (1871-1959).

Monsignor Oder ausiliare del Cardinale Vicario De Donatis nel suo intervento ha ricordato la dimensione politica di Don Sturzo, che di sé stesso usava ripetere “Io sono sacerdote, non un politico”. E “proprio perché sacerdote” egli sentì la vocazione a ricondurre la politica “alla sua finalità naturale di carità e di servizio”.

Siciliano di Caltagirone, Sturzo era ben conscio delle difficoltà dei lavoratori della terra e degli operai della sua Regione, che non poche volte vivevano veri e propri drammi della disperazione a causa delle precarie condizioni economiche. L’impegno a realizzare i principi della Dottrina Sociale della Chiesa rimase il suo imperativo, aiutato anche dal fatto che da poco Leone XIII aveva promulgato l’Enciclica “Rerum Novarum” (Delle Cose Nuove). Per Sturzo la politica andava vissuta secondo l’ideale cristiano, che si manifestava come alta forma di “carità”, ovvero come servizio a favore del prossimo. L’appello “Ai Liberi e Forti” per la nascita del Partito Popolare Italiano è figlio di queste premesse. Egli tiene sempre separate religione e politica, considerata la prima universale mentre la politica appartiene a una parte, per cui la Chiesa non è coinvolta nella sua iniziativa. Chiama a raccolta con il suo proclama solo alcuni cattolici italiani, per una politica che diventa l’espressione sociale di quanto si vive interiormente nella dimensione cristiana. La parentesi del “ventennio” gli costerà cara, in quanto connivente anche il Vaticano, Sturzo è costretto dal fascismo all’esilio, per non aver piegato la schiena nei confronti del nuovo regime: prima a Londra e poi negli USA. Rientrato in Italia nel 1946, muore a Roma nell’agosto 1959, dopo che il presidente della Repubblica Einaudi lo aveva nominato senatore a vita nel 1952.

Papa San Giovanni Paolo II ha detto di Don Sturzo: “La vita, l’insegnamento e l’esempio di Don Luigi Sturzo”, che “nella piena fedeltà al suo carisma sacerdotale”, seppe infondere “nei cattolici italiani il senso del diritto-dovere della partecipazione alla vita politica e sociale alla luce dell’insegnamento della Chiesa” – ispirino sacerdoti e religiosi nel loro “apostolato di evangelizzazione e di promozione umana”.

Sturzo era un democratico cristiano nel senso letterale del termine, un popolare, che aveva maturato le prime esperienze politiche nel prepolitico. Le cooperative, le casse di risparmio, i consorzi agrari, l’associazionismo cattolico, quello comunale furono tappe essenziali del suo lavoro a favore della gente più bisognosa, e inascoltata dai governi liberali di marca giolittiana e non. La carica di pro-sindaco di Caltagirone verrà dopo, e da lì poi tutto il crescendo della sua azione politica a livello locale e nazionale. Il discorso di Caltagirone alla vigila di Natale del 1905: Problemi della vita nazionale dei cattolici è la pietra miliare della sua magistrale opera che consentirà nel 1919 a cattolici e non di entrare a pieno titolo nella vita politica italiana. L’ “appello ai liberi e forti” non era una chiamata all’impegno politico dei soli cattolici, ma di tutti coloro, anche non cristiani, che condividevano il programma e l’azione della nuova formazione politica. Sturzo non pensò mai di dover costruire un partito confessionale, come illustri personaggi del mondo cattolico, tra cui padre Gemelli e Olgiati, con i quali ebbe scontri molto duri, desideravano.

Ed è qui che si spiega la fisionomia del partito laico, aconfessionale, democratico, nazionale, popolare, di ispirazione cristiana del Partito Popolare Italiano. Sturzo, quindi, non poteva mai pensare ad un partito clerico-moderato, al servizio della Chiesa, Istituzione altissima, che secondo don Luigi non aveva bisogno della politica per essere difesa e tutelata. Si evidenzia in tal modo l’impostazione politico-programmatica del Ppi che guarda ad un’Italia nuova, che se anche uscita vittoriosa dalla guerra 1915-18, ha bisogno di crescere economicamente, socialmente, culturalmente. Le vicende belliche avevano distrutto, bisognava ora ricostruire. Sturzo leggeva la società italiana del tempo e comprendeva bene che con la guerra era finito un ciclo storico, e che l’Italia aveva bisogno di guardare al futuro. C’era necessità di un forte spirito riformatore, lo stesso che caratterizzò l’anima intima del Ppi. Mai riformista.

Il socialismo marxista e la lotta di classe raccoglievano simpatie sempre più numerose, i popolari come risposta presentavano il loro programma i cui punti essenziali si incentravano soprattutto su una visione nuova dell’economia. Alla lotta di classe di stampo marxista, si opponeva la collaborazione tra le classi, assegnando un ruolo da protagonista nella gestione dell’azienda al lavoratore. La riforma tributaria sulla base dell’imposta progressiva; il sistema elettorale proporzionale; il decentramento amministrativo con la creazione delle Regioni fissarono punti caratterizzanti del programma del Ppi.

Come si può comprendere, le idee popolari ancora oggi risultano moderne ed originali, e possono raccogliere ampi consensi tra i vari ceti sociali dell’Italia. Riforma elettorale proporzionale e decentramento amministrativo, significative di un ruolo più caratterizzato delle autonomie locali, furono le due iniziative che contribuirono a smantellare la democrazia liberale di stampo giolittiano dalle incrostazioni velenose che aveva subito durante i primi anni del ‘900. Entrambi i punti del programma, proporzionale e decentramento, erano figli di una visione che puntava sulla partecipazione dei cittadini alla vita politica e delle istituzioni, e rappresentò certamente il fatto nuovo della politica italiana di quel tempo e non solo, perché Sturzo non aveva stilato modelli ideologici di governo utili al momento, ma aveva disegnato una strategia di governo utile anche per il domani. La partecipazione come fatto centrale e strutturale della politica, che diventa poi politica di governo.

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