Secondo le informazioni diffuse dagli apparati di sicurezza sauditi – entrati completamente sotto l’orbita del futuro re Mohammed bin Salman dopo le purghe del fine settimana scorso – il missile che è partito dallo Yemen ed è stato intercettato sopra all’aeroporto di Riad era un vettore fornito ai ribelli Houthi dall’Iran. Premesso che nel mondo fosco del Regno c’è molto spin mediatico dietro a certe dichiarazioni (bin Salman ha iniziato il suo piano assertivo in Medio Oriente e inasprito il confronto politico con l’Iran, anche entrando in guerra in Yemen, con scarsi risultati, per liberare la capitale dalla rivolta che ha deposto il governo filo-saudita) la questione merita attenzione.
UN ATTO DI GUERRA
Prima il ministro degli Esteri sulla CNN, poi lo stesso bin Salman in una telefonata con il capo della diplomazia inglese Boris Johnson (poi resa pubblica dalla saudita SPA), hanno definito il lancio del missile “un atto di guerra” dell’Iran nei confronti dell’Arabia Saudita. Risposta da Teheran: sono parole “provocatorie”, come le azioni che Riad compie nella regione (riferimento diretto: le pressioni per far dimettere il premier libanese e fargli attaccare l’ingerenza di Teheran negli affari di Beirut).
DINAMICHE NOTE
Le dinamiche che denunciano i sauditi sono molto simili a quelle che Israele combatte con attacchi mirati in Siria: Teheran sfrutta il caos di conflitti esistenti per armare i propri proxy di confronto geopolitico con nemici esistenziali, da un lato Gerusalemme (ma anche i sauditi), in Yemen Riad. I media allineati con i ribelli Houthi, appartenenti a una setta sciita su cui l’Iran sente l’esigenza (molto politica) di protezione, dicono che il missile sparato era un Burkan H2, vettore balistico descritto “a lungo raggio”. Il ministro degli Esteri saudita ha fornito altri dettagli: il missile sarebbe stato simile a uno lanciato a luglio e abbattuto nei pressi della Mecca, sarebbe stato manufatto in Iran, disassemblato per essere contrabbandato in Yemen e poi ri-assemblato dagli Houthi con l’aiuto di consulenti dei Guardiani e di uomini di Hezbollah, che si trovano sul suolo yemenita come advisor militari inviati da Teheran.
COSA DICE WASHINGTON?
A luglio la rappresentante permanente americana alle Nazioni Unite, Nikki Haley, disse che il missile sparato verso la città santa era un “Qaim” iraniano, un’arma che prima del conflitto attuale non era presente in Yemen secondo le attente osservazioni dell’intelligence americana, e che è stata portata lì dagli iraniani: “Potrebbe essere di origini iraniane” anche il missile di sabato scorso, ha detto in questi giorni, ricordando che fornire queste armi significherebbe una violazione di una risoluzione Onu. Haley punta il dito sui Guardiani, il corpo armato teocratico iraniano, e anche in questo caso c’è uno spin politico: nella trama anti-iraniana che Washington sta tessendo, le Guardie delle Rivoluzione potrebbero finire inquadrate come un gruppo terroristico. Dall’Iran negano ogni genere di link.
L’ASSE DEL MALE
A proposito di link, ce n’è un altro interessante. Alcuni (per esempio quelli della rivista specializzata in faccende d’intelligence d militari Jane’s) dicono che per l’Iran è molto difficile superare i controlli in quel tratto di mare e spedire i missili direttamente in Yemen, dunque si configura un altro attore: la Corea del Nord, che può aver fornito certe armi, pagate con i soldi di Teheran, anche prima del conflitto. Si tratta di una dinamica piuttosto nota, che val la pena ricordare con un paio di esempi. A fine agosto, per esempio, Reuters ha svelato l’esistenza di un dossier che sarebbe dovuto restare segreto negli archivi delle Nazioni Unite: si raccontavano di due navi da carico partite da un porto nordcoreano, fermate mentre stavano portando materiale verso il Centro siriano per la ricerca e gli studi scientifici (acronimo inglese Sssrc, il nome molto polite nasconde uno dei centri di sviluppo delle armi chimiche del regime siriano). In molti, poi, a settembre, hanno notato l’enorme similitudine tra un nuovo missile balistico presentato dai Guardiani iraniani e un vettore prodotto dal Nord: gli esperti sostengono che si tratti della stessa base di lavorazione, su cui tecnici (anche privati) hanno messo le mani facendo su e giù tra Medio e Estremo Oriente. Lo stesso potrebbe essere successo con missili arrivati in Yemen: in un’analisi Jane’s ricorda che nel 2002 una motovedetta spagnola intercettò una nave che portava 15 missili balistici di derivazione sovietica verso un porto yemenita: erano Hwasong-5 nordcoreani (ora c’è una versione “-6” del missile, molto simile allo Shabab 2 iraniano).
A inizio settembre i jet israeliani hanno bombardato un sito del Sssrc, e forse i satelliti di Gerusalemme avevano avuto un occhio di anticipo su quello che succedeva anche via Corea: è noto che tecnici di Pyongyang hanno aiutato il regime siriano a costruirsi l’arsenale chimico un decennio fa. E potrebbero anche aver contribuito a rafforzare altre entità proxy iraniane, in una partnership tra stati isolati e canaglie; il presidente americano nel suo primo discorso davanti all’assemblea Onu ha accomunato i due dossier, nemici pubblici e dichiarati della stabilità.