Il fascismo abolì la libertà di stampa. I quotidiani delle opposizioni (dopo che le loro sedi erano state devastate più volte dalle squadracce) furono proibiti, mentre gli altri giornali vennero asserviti alle “veline” del Minculpop. Eppure, nemmeno un Mussolini redivivo avrebbe osato escludere dal palinsesto televisivo un programma come L’Arena.
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Massimo Giletti ha spiegato più volte di aver accettato la proposta di Urbano Cairo non per sé, ma per i quattro milioni di teleutenti che da anni seguivano il suo programma, la domenica pomeriggio sulla Rai. Giletti è stato molto generoso dal momento che i suoi spettatori – quando hanno saputo del siluramento de L’Arena – si sono guardati bene dall’organizzare proteste davanti al cavallo di Viale Mazzini. Probabilmente hanno ritenuto sufficiente farsi rappresentare da Maurizio Costanzo, Maria De Filippi e da Rosario Fiorello.
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In un pistolotto propedeutico alla presentazione della puntata inaugurale di “Non è l’Arena”, Massimo Giletti ha raccontato il suo saliscendi per le scale della Direzione della Rai. È stato tanto efficace che, per spiegare la sua vicenda, verrebbe la tentazione di fare il verso al Bollettino della Vittoria di Armando Diaz: “Ciò che rimane di uno dei più potenti conduttori della Tv di Stato discende in disordine e senza speranze quelle scale su cui era salito con orgogliosa sicurezza”.
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Elsa Fornero non è più la sola ad aver versato lacrime amare durante una conferenza stampa. Adesso annoveriamo tra i “i piagnoni” anche Massimo Giletti. La differenza sta in questo: Fornero piangeva pensando ai pensionati; Giletti a se stesso.