In un op-ed uscito sull’israeliano Haaretz, Daniel Shapiro, ex ambasciatore americano a Gerusalemme e direttore dell’ufficio Medio Oriente del Consiglio per la Sicurezza nazionale dell’amministrazione Obama, si chiede (con una domanda retorica): l’Arabia Saudita sta spingendo Israele verso una guerra contro Hezbollah e l’Iran?
Sabato il primo ministro libanese Saad Hariri ha annunciato le proprie dimissioni: lo ha fatto dall’Arabia Saudita, davanti ai microfoni della indipendente Al Jadeed, network panarabo con sede a Beirut non anti-saudita come altri media nel paese. Hariri da Riad ha dichiarato di volersi dimettere perché teme per la sua vita ed è stato molto critico contro le intromissioni iraniane negli affari interni libanesi. Si tratta di attività spinte attraverso gruppi politici armati e finanziati da Teheran: in Libano c’è il partito/milizia Hezbollah, in altre aree del Medio Oriente (Siria, Iraq, Yemen) altre organizzazioni.
Shapiro ricorda che la forza che nel 2009 ha spinto Hariri a farsi carico dell’eredità del padre (assassinato da un’autobomba), e diventare il leader della comunità sunnita nel sistema multi-settario libanese, è arrivata dall’Arabia Saudita (il Regno è il padre globale del sunnismo). E secondo il diplomatico americano Hariri è tornato al potere alla fine del 2016 sotto altre pressioni saudite: solo che i governanti a Riad nel frattempo sono cambiati, e la postura richiesta a Beirut nei confronti delle realtà sciite come Hezbollah e l’Iran è diventata ancora più arcigna. Hariri è visto dai sauditi come una pedina sul campo per contrastare le dinamiche espansionistiche iraniane. A muovere le fila di tutto l’erede al trono del Regno, Mohammed bin Salman, in fase di consolidamento del proprio potere (come spiega un’analisi di Cinzia Bianco uscita su queste colonne sulle ultime notizie, le purghe, che arrivano da Riad).
Da qui parte la tesi: perso il confronto con l’Iran sul suolo siriano, anche per colpa dell’intervento della Russia e per il lungo disimpegno americano, secondo Shapiro è plausibile che l’Arabia Saudita possa tramare per spostare la guerra proxy tra il regno sunnita e la repubblica sciita sul teatro libanese, coinvolgendo Israele, un altro nemico esistenziale dell’Iran. La tesi è molto simile a quella esposta come scenario potenziale a forte contenuto destabilizzante da Matteo Bressan, analista esperto di Libano, in un commento su Formiche.net.
A Londra per celebrare il centesimo anniversario della Balfour Declaration, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha usato le dimissioni di Hariri per dire che l’ingerenza iraniana è troppo pesante (sono state “una sveglia per tutti”, ha detto) e per chiedere al Regno Unito di essere più duri nei confronti di Teheran, che ha sopraffatto il Libano e altri paesi. E insomma, ha chiosato Netanyahu nel suo intervento, “quando gli israeliani e gli arabi, tutti gli israeliani e gli arabi, sono d’accordo su una sola cosa, la gente deve prestare attenzione: dobbiamo stoppare le ingerenze dell’Iran”. Da oltreoceano, a sostenere questa linea anti-iraniana, c’è Washington, con l’amministrazione Trump che ha fatto diversi passi notevoli per acuire il confronto con Teheran, che ha risposto rinnovando l’alleanza con la Russia, una partnership che cerca di isolare l’America.
Però per il momento non convergenza tattica tra Riad e Gerusalemme, sostiene Shapiro, e Israele è difficile che si faccia dettare i suoi tempi da qualcun altro.