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Ecco il piano del governo per salvare gli investimenti italiani in Iran

In questi giorni al Senato è in corso un tiro alla fune su un articolo della legge di bilancio con ripercussioni sull’economia e sulle relazioni internazionali dell’Italia. Si tratta dell’articolo 32, voluto dai ministri dello Sviluppo Economico e dell’Economia Carlo Calenda e Pier Carlo Padoan, che conferirebbe ad Invitalia, agenzia di promozione degli investimenti governativi partecipata al 100% dal Tesoro, la possibilità di “operare come istituzione finanziaria” in Paesi esteri “qualificati ad alto rischio dal Gruppo d’Azione Finanziaria Internazionale (GAFI-FATF)”. La lista dei Paesi a rischio per gli investimenti comprende polveriere come la Corea del Nord, lo Yemen e l’Iraq. La norma inserita nella legge di Bilancio mira a garantire gli investimenti delle aziende italiane verso il principale partner nel Golfo persico: l’Iran.

LA PREMESSA

Da quando nel luglio del 2015 a Vienna l’Iran aveva firmato l’accordo sul nucleare (JCPOA) con l’Unione Europea, i cinque membri del Consiglio di Sicurezza Onu e la Germania, il commercio e gli investimenti italiani con la repubblica islamica sono tornati a galoppare. Dal gennaio del 2016 le esportazioni sono cresciute del 24% fino a superare quota un miliardo di euro, come mostrano i dati di fonte ICE. La partita totale dei contratti italiani in Iran di aziende come Saipem, Gruppo Gavio, Fs o Maire, o di memoranda of understanding in via di definizione come quello dell’Eni, storicamente presente nella regione, ammonta a quasi 30 miliardi di euro. Non da meno i contratti firmati nell’era post-sanzioni da colossi europei come le francesi Airbus (25 miliardi) e Total (4,8 miliardi), o tedeschi come Siemens (1,6 miliardi). Con la scelta di de-certificare l’accordo sul nucleare in ottobre e le nuove sanzioni, il presidente americano Donald Trump ha messo gli alleati europei davanti a un bivio: tagliare un cordone ombelicale con l’Iran da 400 milioni di dollari per mantenere intatto l’accesso ad un mercato, quello statunitense, che vale 19 trilioni. Una minaccia ribadita dal suo segretario di Stato Rex Tillerson nella sua recente visita in Arabia Saudita: “Chi fa affari con la Guardia Rivoluzionaria Iraniana, che siano aziende europee o altre in giro per il mondo, lo fa a suo rischio”.

L’ARTICOLO 32

L’articolo della legge di Bilancio rappresenta dunque una via di uscita per garantire i contratti italiani in Iran a prescindere dall’elevato rischio per gli investimenti. Qualora la norma passi, sarà lo Stato a garantire gli impegni e i crediti vantati da Invitalia. La garanzia verrebbe rilasciata su istanza della stessa agenzia pubblica con un decreto del Mef, sentito il parere dell’Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (Ivass). A questo scopo è prevista per il 2018 l’istituzione di un Fondo con una dotazione iniziale di 120 milioni di euro presso il Mef. La disposizione che però ha creato più divisioni dentro e fuori i palazzi delle istituzioni è quella che prevede la possibilità per il Mef, attivata la garanzia dello Stato (comma 6), di avvalersi di Sace, il polo dell’export del gruppo Cassa Depositi e Prestiti (CDP).

LA POLEMICA FRA GOVERNO E CDP

Un articolo de La Stampa ricostruisce oggi il retroscena del tira e molla fra governo e Cdp. Secondo il gruppo presieduto da Claudio Costamagna e guidato dall’ad, Fabio Gallia, Sace non sarebbe adatto ad operare in un Paese ad alto rischio come l’Iran. Non solo perché potrebbe incappare nelle nuove sanzioni statunitensi, ma anche perché così facendo esporrebbe i capitali privati con cui opera, e Cdp perderebbe la fiducia dei suoi investitori internazionali. Concedendo a Invitalia di operare come un’istituzione finanziaria “autorizzata a effettuare finanziamenti e al rilascio di garanzie e all’assunzione di rischi non di mercato ai quali sono esposti” il governo punta dunque a superare la riluttanza di Sace e in particolare dell’azionista Cassa depositi e prestiti.

GLI EMENDAMENTI AL SENATO

In Senato sono stati presentati già 19 emendamenti all’articolo 32. Di questi, ben 11 sono del senatore forzista Lucio Malan, uno del pentastellato Stefano Lucidi, che vuole sopprimerlo del tutto, due della senatrice Cinzia Bonfrisco, presidente della Commissione Vigilanza su Cassa e Depositi. “Il ruolo ancillare di SACE non mette al riparo Cdp dai rischi dell’operazione” spiega Bonfrisco a Formiche.net, “è responsabilità del governo individuare un soggetto capace di fare questo”. “Noi mettiamo sullo stesso tavolo un soggetto come Invitalia, che diviene finanziario, con soggetti finanziari iraniani inaffidabili e considerati a grande rischio dal nostro Comitato sulla sicurezza finanziaria” continua la senatrice.

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