Fin da quando l’Iran ha deciso di coinvolgere a difesa del regime siriano i libanesi di Hezbollah (e poi altri gruppi paramilitari sciiti, satelliti ideologici e politici degli ayatollah), Israele ha sempre avuto una priorità: bloccare ogni genere di trasferimento di armi che avesse varcato i confini del conflitto. La red line che sta particolarmente a cuore a Gerusalemme è frutto di un’esigenza di sicurezza nazionale: le intelligence israeliane hanno corpose informazioni che dicono che, finita la guerra in Siria, Hezbollah e l’Iran (rinforzati militarmente e politicamente dalla sanguinosa vittoria, nonché diplomaticamente dai fan internazionali del regime siriano movimentati dai russi), rivolgeranno le loro attenzioni armate contro lo Stato ebraico.
GLI INTESSI ISRAELIANI
Sotto quest’ottica diventa chiaro il motivo dei raid aerei clandestini israeliani (solo una volta dichiarati) per colpire i convogli iraniani che sfruttano il caos del conflitto siriano per passare armi a Hezbollah; operazioni che hanno il consenso tacito russo, la potenza che controlla i cieli in Siria. Sempre sotto quest’ottica è comprensibile l’unione di intenti pragmatica, strategica con i sauditi. Adesso che il conflitto siriano è nella sua indefinibile fase finale, si pone un’altra questione: l’Iran che conosce le potenzialità israeliane e per questo ha deviato la strategia, non passa più armi pronte, ma ha condiviso il know how col gruppo armato libanese, che sta producendo armi più sofisticate in casa. Dunque, per Gerusalemme il quid è: che fare, colpire in/il Libano? Israele da tempo ha iniziato dichiarazioni pubbliche e mosse diplomatiche per far sapere agli alleati occidentali — Europa e Stati Uniti considerano Hezbollah un’organizzazione terroristica — che la costruzione di dispositivi militari tecnologici da parte di Hezbollah (Iran-backed) è retenuta un elemento di pericolo contro cui Gerusalemme interverrà. Allargando lo sguardo, le dimissioni forzate da Riad del premier libanese rientrano in questa scacchiera, anche perché gli israeliani (e ora pure i sauditi, allineati in questa partnership moderna) ritengono che lo stato libanese ormai sia talmente succube del gruppo sciita, che controlla il presidente maronita, al punto che il confronto non è più con i paramilitari, ma con Beirut.
UN MESSAGGIO FORTE
A settembre, Israele ha mandato un messaggio forte e chiaro: dallo spazio aereo libanese, due bombardieri hanno sganciato ordigni a lunga gittata contro un’industria in Siria, usata dall’Iran e da Hezbollah per costruire pezzi di armi da assemblare in Libano (anche componenti chimici). E lo hanno confermato pubblicamente, facendo sapere di essere pronti a colpire non solo i convogli militari, ma anche obiettivi ibridi civili come le industrie produttrici; annunciando a Beirut di aver capacità e nessun timore di violare il suo spazio aereo e dunque mettendo il Libano in guardia per eventuali azioni preemptive sul suo territorio; e mettendo in guardia anche russi e iraniani sul non temere nessun genere di confronto su questa linea di interesse nazionale.
LE OPZIONI PER GERUSALEMME
Però la questione di azioni dirette in Libano si porta dietro l’enorme rischio di innescare una miccia. Se Israele dovesse colpire Hezbollah in Libano, e se la scienza inesatta della rappresaglia dovesse sfuggire di mano al gruppo, la conseguenza sarebbe un coinvolgimento massiccio israeliano, che però poi si porterebbe dietro gli interessi e le mosse di altri attori: in primis Iran e Arabia Saudita. D’altra parte però, fa notare una lunga analisi del National Interest, un attacco preemptive — “che violerebbe le regole non scritte” che hanno garantito da un decennio (dopo il conflitto non definitivamente chiuso tra Hezbollah e Israele) un delicato equilibrio — manderebbe un forte segnale sulla determinazione israeliana in Libano e Iran. E questo (per assurdo) sarebbe il momento giusto per farlo: Hezbollah è ancora molto impegnato in Siria e non può sostenere due fronti; e poi in questo momento Washington fa da collante per quell’avvicinamento tra Riad e Gerusalemme, sempre in ottica anti-iraniana, garantendo copertura diplomatica; inoltre, sottolineatura logica di NI, attaccare adesso, mentre ancora producono armi sofisticate, è meglio che dopo, quando ce le avranno disponibili per la risposta (sebbene Hezbollah sia già molto ben armato).
LA SITUAZIONE DELICATA
Possibile certamente che nulla cambi rispetto all’attuale delicatissimo status quo, e Israele continui a esercitare l’adeguata deterrenza che ha bloccato gli attacchi di Hezbollah dal 2006, però, come evidenzia Ari Heistein dell’Institute for National Security Studies israeliano, il rischio diventa a lungo raggio, in un confronto con un Hez ancora più forte, armato e rappresentativo. Rischio aggiuntivo: le politiche di altri attori, come l’assertività anti-iraniani del futuro (forse a breve) re saudita, che potrebbero dare spinte scoordinate a questi delicati equilibri regionali.