Il New York Times ritorna ad occuparsi dell’Italia e della possibile esposizione del nostro Paese a campagne di fake news finalizzate ad acerbare e condizionare le opinioni dei cittadini in vista della stagione elettorale.
In un articolo Jason Horowitz, corrispondente del giornale per l’Italia ed il Vaticano, si interroga sugli effetti destabilizzanti di un eventuale disegno di condizionamento del voto attraverso ingerenze esterne perpetrate sul web e sui social network.
“In a global atmosphere already thick with suspicion of Russian meddling in the elections in the United States, France and Germany, as well as in the British referendum to leave European Union and the Catalan independence movement in Spain, many analysts consider Italy to be the weak link in an increasingly vulnerable European Union”. Senza troppi giri di parole, il NYT non solo considera l’Italia come un possibile target della strategia di destabilizzazione che ha già influenzato una buona parte dei cittadini europei nelle recenti tornate elettorali ma addirittura definisce il nostro Paese come un possibile “anello debole”, potenzialmente in grado di mettere a rischio l’integrità dell’Unione già seriamente minata negli ultimi anni.
L’allarme raccolto dal New York Times è stato lanciato da un report della società Ghost Data di Andrea Stroppa, consulente di Matteo Renzi ed esperto di cyber security. Secondo lo studio condiviso da Stroppa con il New York Times e pubblicato anche su BuzzFeed News, sarebbe sin da oggi possibile identificare delle chiare interconnessioni tra diverse piattaforme online, tutte orientate ad alimentare la protesta da parte di gruppi anti-establishment e fortemente critici con la classe politica. Tra i siti in questione, diversi sarebbero riconducibili ad attivisti (o presunti tali) vicini alla Lega Nord di Matteo Salvini e al Movimento Cinque Stelle.
Più in particolare, stando al report, la pagina ufficiale di un sito a sostegno della candidatura a premier di Matteo Salvini condividerebbe lo stesso codice identificativo Google di una pagina web a supporto del M5S. Il codice in questione, utilizzato per tracciare il traffico web a fini di pubblicità, sarebbe riscontrabile anche in siti web di gruppi cospirazionisti e ancora in altri a favore di Vladimir Putin e della Russia.
L’esempio pratico è dato dall’accostamento di due differenti siti che utilizzerebbero la stessa stringa identificativa: IoStoConPutin.info e mondolibero.org.
A domanda posta dal New York Times, da Google fanno sapere che il mero utilizzo dello stesso codice su due o più siti web non necessariamente è indice di un collegamento o di una interrelazione nascosta. Come a volte accade, è possibile che l’architettura di un sito sia stata ripresa per adattarvi differenti contenuti. Nel caso di specie non è stato possibile avere un chiarimento poiché gli amministratori delle pagine in questione non hanno risposto alle relative richieste di spiegazioni.
L’Atlantic Council ha recentemente pubblicato uno studio a riguardo e di pochi giorni fa è la diffusione di un report assai interessante elaborato dal NATO Strategic Communications Centre of Excellence.
Più in particolare, il centro StratCom della NATO ha rilasciato una serie di dati per fare chiarezza sull’attività propagandistica russa in rete e per diffondere l’analisi relativa a mesi di raccolta informativa su social network, siti di informazione e finanche campagne di advertising online.
Il documento, intitolato Robotrolling 2017, è stato pensato con l’obiettivo di aumentare il livello di consapevolezza degli utenti in rete rispetto ad una minaccia estremamente diffusa e capillare. Tra i risultati più impressionanti ottenuti, il team ha dimostrato come mediamente due account Twitter su tre che postano contenuti in cirillico relativi alla presenza NATO in Europa orientale sarebbero in realtà dei fake, dietro cui si nascondono dei computer (robot account) o delle “bot”.
In totale, circa l’84 % dei tweet in russo sulla NATO nell’Europa dell’est sarebbero classificabili nel novero della propaganda russa. I dati non sono assai migliori se si guarda ai tweet in lingua inglese sullo stesso argomento. In questo caso, un account su quattro nasconderebbe un utente “automatizzato” e se si guarda ai contenuti, il 46% dei tweet postati risentirebbe dell’influenza russa.
Il livello di influenza complessiva determinata dalla diffusione di tweet “contaminati” sarebbe talmente alto da giustificare l’utilizzo dell’espressione “inquinamento informativo”. Evidentemente, l’inquinamento delle informazioni e indirettamente delle opinioni è un fenomeno che tocca anche l’Italia, soprattutto in un periodo assai delicato come quello attuale, man mano che la campagna per le politiche entra nel vivo.
L’articolo del New York Times e le numerose ricerche condotte da enti nazionali ed internazionali contribuiscono dunque allo sforzo collettivo di sensibilizzazione, più che mai indispensabile per offrire un criterio di discernimento nella selezione delle fonti con cui si fa e si riceve informazione.