Adesso manca il passo più importante, cioè l’attuazione pratica delle decisioni politico-diplomatiche. La principale notizia emersa dal vertice di Abidjan, in Costa d’Avorio, tra l’Unione europea e l’Unione africana è la costituzione di una task force congiunta tra le due istituzioni e l’Onu per proteggere i migranti lungo le rotte della tratta e in Libia e favorire i rimpatri nei Paesi di provenienza: in sostanza, dovrà affrontare i due grandi problemi rappresentati dalle pessime condizioni dei centri di detenzione libici e dalla necessità di svuotarli riportando indietro le persone. Non si conoscono dettagli sulla composizione della task force, anche se è stata probabilmente al centro del veloce vertice sulla Libia tenutosi a margine dell’incontro ufficiale e al quale hanno partecipato i leader di Italia, Francia, Germania, Spagna, Libia (Paolo Gentiloni, Emmanuel Macron, Angela Merkel, Mariano Rajoy, Fayez al Sarraj), l’alto rappresentante Ue, Federica Mogherini, e altri governanti africani. Nello scorso settembre, al termine del comitato italo-libico riunitosi a Roma, si era parlato di una missione italiana ai confini meridionali della Libia per realizzare una base logistica e aiutare le guardie di frontiera.
A proposito dei rimpatri, è stata significativa la presa di posizione del presidente della Nigeria, Muhammadu Buhari, che intende riportare in patria tutti i nigeriani che sono in Libia giudicando scioccante l’asta documentata dalla Cnn nella quale alcuni furono venduti come schiavi. Per coglierne l’importanza, va ricordato che i nigeriani sono la grande maggioranza degli immigrati sbarcati in Italia: 18mila su 117mila arrivati al 29 novembre, il doppio dei cittadini del Ghana e della Costa d’Avorio che seguono nella classifica stilata dal Viminale.
“Tutti mettano mano al portafoglio”
L’accordo tra Ue e Unione africana arriva fino al 2022 e punta allo sviluppo economico con investimenti, oltre a combattere il cambiamento climatico, sarà attuato d’intesa con le autorità libiche e comprende anche il ricollocamento di chi ha diritto all’asilo. Il presidente del Consiglio, Gentiloni, ha approfittato del vertice per richiamare tutti alle proprie responsabilità: “Bisogna rimboccarsi le maniche, mettere mano al portafoglio perché non è possibile che i finanziamenti siano solo di Italia, Germania e Ue” aggiungendo di aver avuto la disponibilità dei quattro Paesi di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia). “Bisogna che ognuno faccia la propria parte”. Il riferimento è alla Francia di Macron, animato da un protagonismo diplomatico al quale non corrispondono soldi. “Non possiamo fare da soli, ma stiamo facendo da soli” ha rimarcato Gentiloni per il quale Italia e Francia possono collaborare, “ma sul terreno”. La sua critica si rivolge anche all’esecutivo europeo quando ha aggiunto che i 40 miliardi per l’Africa annunciati nel prossimo bilancio “rendono l’entità dell’impegno, ma nessuno ha staccato l’assegno”.
Il crollo dei flussi
Gentiloni ha enfatizzato i risultati raggiunti sui flussi migratori: “Da luglio a novembre siamo passati da 102.786 del 2016 a 33.288 di quest’anno, un crollo impressionante”. Meno arrivi significa “indebolire i trafficanti e rendere i flussi più gestibili, oltre che meno morti in mare”. Un indiretto sostegno alla gestione del ministro dell’Interno, Marco Minniti, giusto il giorno dopo l’ultimo attacco di Massimo D’Alema secondo cui invece il governo è responsabile dell’accordo con le milizie che, ha aggiunto, è alla base dei lager libici e della tratta degli schiavi.
I charter di Frontex
Parlando dei rimpatri, Gentiloni ha ricordato i 13mila già fatti quest’anno dall’Oim, l’Organizzazione internazionale per le migrazioni, e che c’è un’intesa tra Libia e alcuni governi africani perché l’Oim organizzi almeno quattro voli settimanali di rimpatri. Il presidente del Consiglio ha rimarcato il ruolo italiano che ha consentito all’Oim e all’Unhcr di entrare in Libia favorendo appunto la politica di rimpatri “che non sono deportazioni”, oltre a verificare le condizioni nei campi di detenzione. Inoltre, c’è un accordo tra Tripoli e l’Unhcr per realizzare un centro aperto nel quale ospitare i rifugiati da ricollocare altrove attraverso i corridoi umanitari.
Il giorno prima del vertice africano il direttore esecutivo dell’agenzia Frontex, Fabrice Leggeri, aveva annunciato che presto l’agenzia organizzerà propri charter per rimpatriare gli immigrati che non hanno ottenuto il permesso di rifugiati nell’Ue. In un’audizione al Parlamento europeo aveva definito “una situazione preoccupante” la permanenza di persone che non hanno “nessun inquadramento da parte degli Stati”. E’ il caso di ricordare che nel 1996 l’allora capo della Polizia, prefetto Fernando Masone, fu il primo a ipotizzare l’uso di charter per rimpatriare i clandestini e in Italia fu massacrato politicamente e mediaticamente. Oggi l’annuncio di Leggeri è passato sotto silenzio. I tempi cambiano.
Il ruolo degli Usa
Gli Stati Uniti, finora defilati dalla crisi libica tranne che per operazioni antiterrorismo delle forze speciali, forse vogliono interessarsene di più. Venerdì 1° dicembre Donald Trump riceverà il primo ministro libico al Sarraj ed è la Casa Bianca a far sapere che si discuterà di cooperazione antiterrorismo e di un più ampio impegno bilaterale, oltre a ribadire il sostegno al governo riconosciuto dall’Onu e agli sforzi per una riconciliazione. Non va dimenticato che il 17 dicembre scadono gli accordi di Skhirat, l’intesa su cui si regge il debole governo di Tripoli, e che nelle scorse settimane il generale Khalifa Haftar aveva detto che dopo quella data sarebbe cambiato tutto. Nelle stesse ore del vertice africano, a Washington era il presidente della commissione Difesa del Senato, Nicola Latorre (Pd). Ai giornalisti italiani ha detto che “gli Usa hanno confermato il loro impegno militare per neutralizzare eventuali presenze terroristiche in Libia e investono molto sul ruolo dell’Italia per la stabilizzazione del paese africano”. Oltre a questo, ha aggiunto, hanno chiesto garanzie sulla partecipazione italiana alle missioni internazionali, già “coperte” per il 2018, oltre che sul nostro ruolo nella Nato e sulla difesa delle basi americane. Le imminenti elezioni politiche sono evidentemente viste come un’incognita e l’Africa è solo uno dei problemi.