La Rivoluzione Russa è stata la causa occasionale della Guerra civile europea, la caduta del Muro di Berlino la sua conclusione.
Anniversari che onoriamo in questi giorni, il cui eco si fa ancora sentire nelle relazioni fra Germania e Russia.
Salvatore Santangelo, docente di Geografia a Tor Vergata e autore di “GeRussia, l’orizzonte infranto della geopolitica europea” (Castelvecchi Editore), spiega le dinamiche geopolitiche di questi anniversari alla luce della contemporaneità.
La rivoluzione copernicana negli assetti di governo della Germania mostra fondamentalmente un’apertura a sinistra: l’entrata di Liberali e Verdi porterà inevitabilmente a un cambio delle politiche complessivo? Come cambieranno i rapporti con la Russia?
Sono abbastanza sicuro che la signora Merkel – nonostante la sua personale antipatia nei confronti di Putin e il suo dichiarato filo-atlantismo – non rinuncerà a quanto costruito dal suo predecessore Gerhard Schröder, a cui si deve la realizzazione della grande infrastruttura energetica Nord Stream, che i tedeschi, nonostante le sanzioni, vorrebbero raddoppiare. E in questo potrebbe essere sostenuta anche da una parte importante del suo partito e anche dai Liberali che già in campagna elettorale avevano prospettato una de-escalation nei confronti della Russia e che potrebbero mettere ancor più l’accento sulla dimensione economica e sui benefici della piena ripresa delle relazioni tra Mosca e Berlino. Per i Verdi, vale un’altra logica. Una delle loro principali traiettorie ideologiche è il pacifismo (venato anche da un certo anti-occidentalismo), questo tema – al netto dell’agenda dei diritti umani che è sempre presente come elemento critico tra i due Paesi – contribuirebbe a un miglioramento complessivo dei rapporti diplomatici. Vero garante della relazione speciale con la Russia è comunque il presidente della Repubblica – il socialdemocratico Steinmeier (già stretto di collaboratore di Schröder); da ministro degli Esteri della “Grande Coalizione” aveva tenuto una posizione molto dura contro la destabilizzazione dell’Ucraina. A lui si devono parole chiare: “Una sicurezza duratura per noi può darsi solo con la Russia, non contro di essa. Una sicurezza duratura per la Russia può darsi soltanto con l’Europa, non contro di essa”.
Una contraddizione esiste nella relazione tra la Germania e i Paesi dell’Europa orientale: Berlino non vuole arrestare la propria espansione verso est e in questo senso ha avuto un ruolo fondamentale nel determinare l’allargamento realizzato da Romano Prodi (in questo sostenuta da Londra, anche se gli obiettivi delle due potenze avevano e hanno finalità contrastanti nel medio e nel lungo periodo). Oggi, tutte queste Nazioni fanno parte della “filiera del valore” del sistema produttivo tedesco ma sono – con gradazioni diverse – ostili alla Russia, da qui le difficoltà della classe dirigente tedesca nel mantenersi in equilibrio tra queste sue due priorità geostrategiche.
“GeRussia” è soprattutto un incontro fra classi dirigente cresciute durante la Guerra Fredda, ora “pacificatrici” di una zona dalla conflittualità latente. Penso in particolare alla complessa negoziazione fra Germania, Polonia e Russia in Ucraina. Chi è Vladimir Putin per l’Europa? Un amico o un nemico?
Dalle immagini drammatiche degli stermini e delle macerie fumanti di Stalingrado e di Berlino fino agli odierni intrecci politici, economici e culturali tra russi e tedeschi, Gerussia disegna una scacchiera viva, fatta di calcoli, interessi e strategie, da cui dipenderà in larga misura il futuro dell’Europa. In questo percorso hanno avuto certamente un ruolo importante le relazioni personali tra i diversi leader. Pensiamo per esempio a quello tra Kohl e Gorbaciov. Il primo è stato sempre consapevole che la riunificazione tedesca è stata possibile solo con il beneplacido della Russia. In questo senso (e come già ricordato) il punto più alto del rapporto tra questi due Paesi lo abbiamo visto con l’amicizia politica e personale tra Putin e Schröder.
Per quanto riguarda Putin, egli è apparso dal nulla, estratto dal cilindro di Eltsin quando quest’ultimo dovette cedere il passo a causa degli scandali che hanno travolto la sua famiglia e di un drammatico crollo fisico che si era abbattuto su un corpo già debilitato dall’alcol. Putin si è affacciato sulla scena di una nazione-continente – metà europea e metà asiatica – che, stremata dall’assalto degli oligarchi, non aveva più fiducia nelle libertà occidentali e nelle virtù salvifiche del libero mercato, e lo ha fatto con un ambizioso programma per la ricostruzione dell’economia e del perduto prestigio internazionale. Forte dei risultati ottenuti – sia sul fronte interno che su quello esterno – la sua leadership appare salda. Possiamo certamente definirlo come un pragmatico post-ideologico e non certo un avventuriero, in questo senso tutta la sua azione politica è stata caratterizzata dal tentativo di evitare un’escalation militare in Europa.
“Intermares” è il termine con cui venne chiamata suggestivamente la coalizione antirussa guidata dalla Polonia negli anni ’20. Sembra che si stia riproponendo uno scenario simile in Europa…
La NATO ci appare sempre più come un organizzazione condizionata dalle paure (storicamente giustificate) dei suoi nuovi membri orientali. Inutile dirlo, molto dipenderà dalle “politiche” di Trump – ancora non chiaramente impostate – nei confronti del Cremlino. Al di là delle intenzioni dei leader, però, è dalla “postura” degli apparati che si possono trarre delle previsioni sul futuro. E se in America questi sono fortemente antirussi, in Germania (anche grazie ai fitti legami economici e industriali) vanno in continuo pressing per un consolidamento delle relazioni.
Il quesito fondamentale di Gerussia resta comunque aperto: basterà la convergenza degli interessi strategici a mantenere salda l’alleanza?
Lo spettro di una guerra, così come quello di uno sfaldamento dell’Europa, non è poi così lontano. Da Washington a Varsavia circolano piani bellici inquietanti, nei quali la Russia è vista come una minaccia alla stabilità europea e non come un partner nella lotta alle nuove sfide globali, come il terrorismo.
La Germania ha sia i mezzi che gli interessi per spegnere la miccia di tali piani. Non appare dunque esagerato affermare che la futura stabilità dell’Europa dipenderà, in una misura non piccola, dalla salute di Gerussia.
Il centenario della Rivoluzione d’Ottobre è un appuntamento importante per la Russia e il suo immaginario, tanto che il presidente della società degli storici è un membro dei servizi segreti russi. L’intento del Cremlino è quello di creare una continuità ideale nella storia della Russia, mettendo in risalto la linea “patriottica” del bolscevismo. Come interpretare questi sforzi?
Putin si è assunto la responsabilità di rigenerare l’identità russa, un’identità in cui sono giustapposti Pietro il Grande, Caterina e Nicola II, le armate controrivoluzionarie, Stalin e l’Armata rossa, la grande guerra patriottica e il Kgb. Lui stesso è apparso come uno nuovo zar. Ma in realtà, come ha fatto notare Orietta Moscatelli su Limes: “Il presidente russo ha imposto il basso profilo per la ricorrenza dei fatti dell’Ottobre 1917. Un evento ‘distruttivo per lo Stato’, difficile da inserire nella sua personale rilettura della storia del Paese”.
La linea del governo tedesco rimane quella di un’Europa a due velocità: da una parte il Nord produttivo e rigoroso, dall’altra il Sud delle economie dal debito pubblico elevato e dal basso tasso di crescita. Dall’altra, il gruppo di Visegrad – e la Polonia in particolare – assume un ruolo autonomo.
Che ruolo può assumere l’Italia?
Rispetto agli scenari che stiamo descrivendo, l’Italia si trova in una posizione di grave incertezza con un cronico problema di classe dirigente. L’Italia è uno dei Paesi, se non il Paese che più ha sofferto per il regime delle sanzioni contro la Russia. Più in generale dobbiamo notare che per un trentennio abbiamo vissuto nella stagione del neoliberismo, ora sta arrivando quella del neonazionalismo: in questo quadro, le nazioni con un’identità fragile, come l’Italia, rischiano tantissimo. Dunque, Gerussia – la possibilità che ci sia pace e prosperità tra due Paesi che si sono combattuti in maniera spietata – è un messaggio di speranza, seppure sottende un pizzico di spregiudicatezza e di cinismo da parte tedesca, ma allo stesso tempo questa dinamica rischia di lasciare indietro i Paesi più deboli che faticano a trovare la strada per mediare le esigenze di carattere europeo con la giusta difesa degli interessi nazionali. Infine questo asse ha una chiara traiettoria verso nord-est che rischia di marginalizzare sempre più il Mediterraneo, relegandolo in una condizione di crisi e instabilità semipermanente. Con l’Italia al centro..