La persona umana è sicuramente tra i più grandi misteri presenti in natura. Tutto ciò è vero non soltanto in senso antropomorfo, vale a dire perché ci riguarda direttamente essendo noi umani, ma anche e soprattutto per le evolute, sviluppate e e sviluppabili capacità di conoscenza che definiscono la nostra specie, garantendo la nostra libertà individuale e relazionale.
Se tutto ciò è evidente per tutti, o almeno in una certa misura dovrebbe esserlo per tutti, la questione della dignità e del valore della vita umana diviene estremamente problematica e nebulosa, all’opposto, quando si ha che fare con i momenti di malattia e con quanto attiene alla cosiddetta situazione concreta del “fine vita”.
Papa Francesco, in un messaggio inviato ieri mattina al Presidente della Pontificia Accademia per la Vita, monsignor Vincenzo Paglia, e a tutti i partecipanti al meeting della World Medical Association, è intervenuto opportunamente, portando un po’ di chiarezza in una tematica che divide costantemente la modernità e anche il mondo politico italiano, come dimostra la legge sul biotestamento da tempo ferma in Parlamento.
Le riflessioni di Bergoglio sono state, al solito, chiare, precise e ponderate. Anche perché, a dire il vero, vi è ben poco da aggiungere in materia di dottrina antropologica per quanto riguarda il principio fondamentale della vita umana e del suo valore non derubricabile ad altro: la riflessione del Magistero ha raggiunto, oltretutto, da decenni precise convinzioni anche relativamente alla gestione morale dei casi più complicati.
Tutto il ragionamento si regge, in sostanza, su una corretta definizione della persona umana che è un essere-per-sé, corporeo, animato, intelligente e libero, per tutto il tempo della sua esistenza. Questo caposaldo ontologico dell’essere-persona è permanente, universale, individuale, e non ammette mai eccezioni che derivino da condizioni personali, fisiche, spirituali ed economiche di alcun genere.
D’altronde, l’essere umano però è anche mortale oltre che spirituale: non è cioè un essere divino immune da sofferenza e dolore, e neanche un grumo di materia inerte, meccanico e insignificante.
Se vista in questa ottica metafisica di umanesimo integrale si capisce molto bene perché non siano ammissibili né larvate o esplicite, legali o illegali, né volontarie e né involontarie forme di eutanasia. Pretendere che il suicidio possa essere indotto, causato o addirittura tollerato o gestito dallo Stato sarebbe, in fin dei conti, una negazione esatta del valore assoluto della vita umana, e un’abiura del principio di finalità che costituisce ogni persona di per sé, al di sopra della sua volontà e a prescindere da tutto il resto.
D’altra parte però, come il Papa ha sottolineato in questo frangente, è intollerabile anche l’estremo opposto, vale a dire la volontà artificiale di protrarre la vita oltre il suo termine naturale con macchinari o cure smisurate. Si badi bene: l’eutanasia e l’accanimento terapeutico sono due opposte modalità di trasformare la singola persona (essere per sé) in uno strumento (essere per altro) per inseguire la propria e altrui libertà sofferente o inutili corse ad estreme terapie di cura. Dunque eutanasia e accanimento sono, in definitiva, due facce di una medesima medaglia inumana.
È in questo senso che Francesco, citando Pio XII, ha osservato che “non c’è obbligo di impiegare sempre tutti i mezzi terapeutici potenzialmente disponibili e che, in casi ben determinati, è lecito astenersene”.
È infatti antropologicamente inaccettabile sia il rifiuto deliberato della vita e sia il rifiuto deliberato della morte, essendo entrambe queste dimensioni i limiti estremi che costituiscono in senso massimo l’essenza stessa della natura umana e dell’esistenza personale di ognuno di noi.
Non deve meravigliare quindi questo intervento contro le terapie esagerate. Semmai dovrebbe sbalordire che l’eredità dell’umanesimo greco, latino e cristiano sia compreso, garantito, tutelato e promosso in Occidente in modo religioso e culturale unicamente dalla Chiesa Cattolica, essendo invece un razionale patrimonio universale, e perciò cattolico, anche a prescindere dalla Chiesa e dalla fede cristiana.
Ancora una volta non sta nel Papa l’originalità, ma sta nel sensazionalismo o nell’egoismo con cui pensiamo a questi problemi etici. In effetti, come dicevano i pensatori antichi, è sempre sbagliato confondere le proprie idee con la realtà e non distinguere quanto ci piacerebbe che fosse nuovo con quanto invece è coscienza vera di sempre, sebbene deliberatamente dimenticata o rimossa. E, in questo caso, la posta in gioco supera di gran lunga qualsiasi ulteriore comprensibile esigenza.