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Petrolio, ecco parole e fatti di Arabia Saudita, Russia e Stati Uniti

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Le sorti del mercato petrolifero tornano ad essere legate alla fragile alleanza tra Russia e Arabia Saudita. La scorsa settimana, infatti, il ministro dell’Energia russo Aleksandr Novak e il re saudita Salman bin Abdulaziz Al Saud hanno discusso a Riad del futuro dell’accordo Opec-non Opec che scade nel marzo del 2018 e che ha ridotto di 1,8 milioni di barili al giorno l’estrazione di greggio per stabilizzarne il prezzo sul mercato.

COSA DICE LA RUSSIA

“Non escludiamo – ha detto Novak – che l’accordo sarà prolungato. Comunque deve essere chiaro che se il mercato sarà stabile entro l’1 aprile, i paesi produttori di petrolio, Opec e non Opec, decideranno in un vertice a Vienna a fine novembre se protrarre l’accordo che ha portato oltre i 60 dollari al barile il prezzo del greggio, un valore che non si registrava da metà 2105”. Ma molti analisti ritengono che questa pax produttiva possa durare molto poco. Anzitutto pesa il fattore geopolitico, come scrive Oilprice,

LE MOSSE DI TRUMP

Trump sta spingendo per allontanare Mosca e Riad utilizzando la leva dell’Iran, acerrimo nemico dei sauditi e, al contrario, importante alleato del Cremlino su rilevanti partite energetiche, gas e nucleare in primis. La Casa Bianca, del resto, non intende mollare il suo sostegno all’industria estrattiva nazionale e ci sono una serie di indicatori che evidenziano come la crescita energetica Usa sia in crescita. Il primo riguarda le trivelle attive negli Stati uniti, il cui numero è tornato a salire, secondo il report pubblicato ogni venerdì dal gruppo di servizi petroliferi Baker Hughes.

IL RUOLO DEGLI USA

I pozzi americani hanno registrato un aumento di 9 unità a 738 trivelle attive. Il dato resta lontanissimo dal picco di 1.609 toccato a ottobre del 2014, ma è al di sopra del minimo toccato nel 2009 a 179 trivelle attive. Inoltre, proprio di recente, in un voto bipartisan, i deputati texani del partito repubblicano e democratico hanno deliberato il via libera, nella commissione per le Risorse naturali della Camera dei rappresentanti, al cosiddetto Secure American Energy Act, che consentirà l’espansione di trivellazioni di gas e petrolio offshore.

LA INSOFFERENZA MOSCOVITA

Per questo motivo, Mosca pur mantenendo gli impegni presi con l’Opec è sempre più insofferente rispetto al mantenimento del tetto alla produzione di greggio. Da un lato, il ministro dell’energia russo, Novak, ha fatto sapere che la Russia nel mese di ottobre ha ampiamente rispettato i propri obblighi nell’ambito dell’accordo con Opec per ridurre la produzione, Novak ha sottolineato come “la produzione russa è stata ridotta di 315 mila barili rispetto all’ottobre dello scorso anno. L’obiettivo era di 300 mila. Lo abbiamo superato del 5 per cento”.

L’ATTIVISMO RUSSO

Dall’altro, però, non si fermano i piani di espansione delle compagnie petrolifere russe, come la Lukoil che ha appena annunciato una partnership con la messicana Pemex, per incentivare la produzione petrolifera di giacimenti onshore in Messico. A Mosca non sono poi piaciute le recenti stime pubblicate dall’Agenzia internazionale dell’energia, nel World Energy Outlook 2017, secondo cui la produzione di petrolio greggio e condensato di gas naturale in Russia dovrebbe diminuire entro il 2040 di quasi il 24% per un totale di 8,6 milioni di barili al giorno rispetto al livello del 2016 che è pari a 11,3 barili al giorno.

LO SCENARIO

Come si legge nel report, nel lungo periodo, la produzione in Russia dovrebbe diminuire gradualmente, poiché l’eventuale passaggio a nuovi progetti di frontiera nella Siberia orientale e nell’Artico, unitamente ad uno stretto sviluppo del petrolio, è insufficiente a compensare i declini nelle aree di produzioni mature nella Siberia occidentale e nella regione del Volga-Urali. Una previsione che di certo non aiuta a mantenere gli impegni presi con il Regno Saudita.



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