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Chi brinda e chi mugugna per la riforma fiscale di Trump

È arrivata la resa dei conti nella battaglia repubblicana per varare la più grande riforma fiscale dai tempi di Ronald Reagan. Kevin Brady, deputato repubblicano del Texas e capo della Commissione delle Entrate, ha annunciato giovedì a Washington la bozza definitiva del piano con cui il presidente Donald Trump vuole rivoluzionare il fisco americano. Una riforma da 1,5 trilioni di dollari che avrà come perno centrale una drastica riduzione della corporate tax americana (dal 35% al 20%), oggi la più alta al mondo, per tornare competitivi con le imprese europee e asiatiche.

I DETTAGLI

I punti cardine restano quelli annunciati dalla Casa Bianca ad aprile: riduzione degli scaglioni da 7 a 3 (12%, 25% e 35%), sgravi fiscali per le imprese (specie di grandi dimensioni), e una previsione che getterà benzina sul fuoco, che prevede un accanimento del fisco sulle aziende che non riportano in patria i capitali dall’estero. Tutti i punti sono legati da un file rouge: la semplificazione. La maggior parte della classe media americana è costretta a stipendiare un professionista per pagare le tasse, tanto è incomprensibile il tax code statunitense. Curioso che si persegua tale scopo con una riforma di ben 429 pagine.

LA MOSSA TRUMPIANA

Per la prima volta da quando Donald Trump ha preso posto nello studio ovale a gennaio quasi tutto il partito repubblicano si trova in sintonia sul programma di governo. Che le tasse siano il pallino fisso dei repubblicani dalla notte dei tempi non è un mistero. Ma dopo mesi di fratture interne al partito su punti chiave della tabella di marcia trumpiana, a partire dall’Obamacare repeal passando per il Daca repeal e il Muslim Ban, fa una certa impressione trovare fianco a fianco sorridenti il Tycoon con i leader repubblicani.

IL DIBATTITO

Uno su tutti, lo speaker della Camera Paul Ryan, che dopo i duri scontri sul Medicare di Obama ha recuperato punti alla corte del presidente supportando in prima fila la riforma fiscale fin dagli esordi. Manca un volto noto nel ritrovato quadretto felice del partito: Gary Cohn, il falco trumpiano a capo del Consiglio Nazionale economico caduto lentamente in disgrazia agli occhi del Tycoon per aver manifestato con troppa sicurezza le sue divergenze con la Casa Bianca (specie sulla questione dei dreamers, i bambini immigrati), e che si è visto soffiare sotto il naso, a dispetto dei pronostici, il ruolo di capo della Fed dalla colomba Jerome Powell.

REPUBBLICANI UNITI

A parte qualche isolata voce di dissenso fra i repubblicani, come il senatore del Tennessee Bob Corker e il deputato texano Kevin Brady, che protestano contro il buco nel deficit che la riforma rischia di scavare, è stata dunque ritrovata l’unità del partito. Il tempismo è perfetto, perché a marzo ci saranno le elezioni di mid-term, e la carta anti-tax costituisce da sempre un jolly alle urne. Ma al di fuori del terreno repubblicano, l’annuncio del piano fiscale ha già scatenato una bufera.

I PROSSIMI PASSI

La sorpresa è che non si tratta dei democratici, ma di decine di potenti lobby industriali che promettono di bussare alla porta dei leader repubblicani nei prossimi giorni, sapendo che Trump ha dato disposizioni ai suoi di fargli trovare sulla scrivania la riforma approvata entro Natale. Le prime a mugugnare deluse sono state le piccole medie imprese, che si aspettavano una riforma su misura e invece si trovano escluse dalla maggior parte dei benefit di cui godranno le multinazionali.

I MUGUGNI

Un video di Politico
spiega con efficacia perché: la maggior parte delle pmi americane non paga la corporate tax, ma la personal income tax, che si vuole ridurre a soli tre scaglioni, come un qualsiasi cittadino. O meglio: il dettato della riforma di Trump prevede che le pmi paghino la tanto ambita corporate tax al 25% solo per il 30% del loro reddito. Così, protesta la National Federation of Independent Business citata dal Washington Post, la riforma trumpiana messa a nudo giovedì “lascia indietro troppe piccole imprese”.

SUBBUGLI IMMOBILIARI

Lo stesso giornale racconta di un’insurrezione del settore immobiliare contro una particolare disposizione del testo che sarà sottoposto al Congresso. Oggi negli States chi vuole acquistare una nuova casa viene esentato dal pagamento degli interessi sul mutuo per il primo milione di dollari, cifra ridotta dalla riforma a 500.000$. Il rischio è una depressione del mercato immobiliare, ringhia un’altra potente lobby che può dare filo da torcere al GOP, la National Association of Home Builder.

DOSSIER DONAZIONI

Un’ultima previsione contenuta nella riforma è da annoverare fra quelle che infiammeranno il dibattito nelle prossime settimane. Ancora una volta, chi si sente tradita è una parte della classe media, prima ancora delle fasce di reddito più basse. Con il piano fiscale di Trump scompare infatti la maggior parte delle detrazioni fiscali che derivano dalle donazioni di beneficenza, un metodo diffusissimo fra le piccole medie imprese intente ad alleggerire il peso del fisco e al tempo stesso migliorando la reputazione aziendale.

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