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Ecco come la Russia mira ad azzoppare i media stranieri

Stefanini, Russia, sanzioni putin

Come nella “guerra delle onde” combattuta durante la Guerra Fredda, quando si trattava di far arrivare in Unione Sovietica informazioni su quanto avveniva nel mondo libero o di disseminare propaganda nel campo del nemico capitalista, Stati Uniti e Russia stanno oggi conducendo le loro battaglie ideologiche via televisione e radio, attraverso emittenti come Voice of America (VOA), Radio Free Europe/Radio Liberty (RFE/RL), Sputnik e Russia Today (RT) che, su satellite, cavo o via etere, trasmettono ininterrottamente nel territorio dell’avversario, cercando di conquistare i cuori e le menti delle rispettive popolazioni.

È una competizione che non esclude colpi bassi, almeno da parte dei russi, i cui giganti dell’informazione globalizzata, RT e Sputnik, si sono specializzati nella diffusione di bufale o pseudo-notizie che hanno lo scopo di aizzare l’opinione pubblica dei paesi occidentali – Italia inclusa – instillando sfiducia nei confronti delle istituzioni, animosità nei riguardi dei leader ed esponenti politici e brandendo come armi temi divisivi quali l’immigrazione, il terrorismo, l’islam e le relazioni tra i gruppi etnici e razziali. Gli esperti la chiamano “guerra ibrida”, che se si combatte a bassa e media intensità in tempi di pace (fredda), si arroventa in situazioni di conflitto. Basta vedere quanto accaduto in Ucraina nel 2014, dove l’intervento delle truppe di Vladimir Putin a sostegno dei separatisti del Donbass è stato accompagnato da un’offensiva mediatica senza precedenti con la quale la Russia ha cercato di occultare le proprie mosse o di ribaltare le accuse occidentali tacciando di “nazismo” la resistenza ucraina.

Ma l’episodio più eclatante e clamoroso della guerra ibrida condotta dai russi è, senz’altro, l’interferenza nella campagna presidenziale del 2016, durante la quale RT e Sputnik sono state la punta di lancia di una sofisticata operazione di disinformatia finalizzata a creare le condizioni per una vittoria elettorale di Donald Trump. Si tratta di un capitolo del Russiagate scottante e non meno controverso di quello aperto dalle indagini del procuratore speciale Robert Mueller, che mirano a scoperchiare le collusioni tra l’entourage di The Donald e uomini del Cremlino. Un capitolo su cui le agenzie di intelligence hanno fatto luce dal gennaio 2016, quando hanno acclarato, unanimemente, lo spregiudicato tentativo russo di condizionare il dibattito elettorale.

Incalzato dalle scoperte dell’intelligence, il governo americano ha cominciato a prendere provvedimenti, con lo scopo di arginare il problema. Dopo una lunga esitazione, cui non sono estranee le predilezioni di Trump per rapporti più distesi con l’amico Putin, il Dipartimento di Giustizia guidato da Jeff Sessions il 13 novembre ha ordinato a T&R Productions LLC, compagnia che controlla la divisione americana di RT, di registrarsi come “agente straniero”. Una misura prevista dal Foreign Agents Registration Act (FARA) che costringe l’emittente russa a indicare chiaramente che i propri contenuti sono promossi da un governo straniero. È un chiaro tentativo di limitare i danni, cercando di fare in modo che la popolazione americana non cada in inganno quando si trova di fronte a trasmissioni tendenziose o a post incendiari.

Nella migliore delle tradizioni delle relazioni russo-americane, il Cremlino ha risposto per le rime, facendo introdurre e discutere dal parlamento una legge analoga al FARA, presentata come una “risposta simmetrica” alla mossa del governo Usa. Nel giro di poche settimane, i due rami del parlamento – la Duma e il Consiglio della Federazione – hanno approvato la nuova legge con maggioranze bulgare, rispettivamente il 15 novembre e il 22 novembre. Risale a ieri quindi la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale e la contestuale entrata in vigore. Da adesso, VOA e RFE/RL, ma anche emittenti private come CNN e la tedesca Deutsche Welle, saranno costrette a registrarsi come “agenti stranieri” e ad attenersi ad un codice di condotta che non è stato ancora precisato.

Come ha affermato Thomas Kent, presidente di RFE/RL: “Non possiamo immaginare al momento gli effetti della nuova legge, dato che nessun organo di stampa è stato specificamente indicato come “agente straniero” e le restrizioni che saranno imposte su tali ‘agenti’ non sono state annunciate”. Kent è pessimista, ma non demorde: “Restiamo impegnati a continuare il nostro lavoro giornalistico, col compito di fornire notizie accurate e oggettive alla nostra audience di lingua russa”.

Adirato, invece, John Lansing, capo del U.S. Broadcasting Board of Governors, secondo il quale definire le misure russe come “reciprocità per le azioni degli Stati Uniti (…) distorce la realtà”. Infatti, dice Lansing, “i media russi, inclusi RT e Sputnik, sono liberi di operare negli Stati Uniti e possono, e lo sono, essere diffusi attraverso la tv via cavo e le stazioni radio in FM”. Al contrario, “i media internazionali americani, inclusi VOA e RFE/RL, sono banditi dalla tv e dalla radio in Russia”. Lansing ricorda inoltre che i giornalisti americani “sono molestati dalle autorità russe e affrontano estese restrizioni al loro lavoro”.

Visitando le sedi di RFE/RL E di VOA il 17 novembre, prima dell’approvazione da parte del parlamento russo della legge, l’ambasciatore americano a Mosca, Jon Hunstman, aveva spiegato come il provvedimento rappresenti una “grande preoccupazione” per gli Stati Uniti. Per i quali “i principi della libertà dei media in qualsiasi società libera e democrazia sono assolutamente centrali”. Di analogo tenore le dichiarazioni di Amnesty International, che parla di un “colpo duro” alla libertà dell’informazione.

Resta da vedere, a questo punto, quale sarà la risposta di Donald Trump. Che se è restio a infastidire il collega del Cremlino, non può certo ignorare un attacco ad un caposaldo della democrazia. I suoi consiglieri si staranno già grattando il capo.


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