Martedì 7 novembre, Keith Schiller, ex guardia del corpo personale, factotum, “the ultimate emotional binky for Trump” (copyright Maggie Haberman del New York Times), ha parlato sul Russiagate a porte chiuse davanti all’House Intelligence Committee. Quella della Camera è una delle commissioni congressuali che stanno indagando l’inchiesta sulle interferenze russe nelle presidenziali americane: l’indagine, che riguarda anche eventuali collusioni con il comitato Trump-2016 con Mosca, dal punto di vista giudiziario è condotta invece dallo special consuel Robert Mueller, che nelle scorse settimane ha alzato l’asticella comunicando le prime incriminazioni formali.
La cosa è rilevante perché in molti sostengono che le prime pendenze con la legge rese pubbliche dal dipartimento di Giustizia riguardano affari personali dei soggetti interessanti: nella realtà non possiamo essere certi che sia definitivamente così. Per esempio, a inizio mese è stato reso pubblico l’arresto di un ex consigliere della campagna di Donald Trump, George Papadopolous, reo di aver mentito all’Fbi sui suoi contatti con i russi (che gli avevano promesso informazioni compromettenti sul conto della concorrente democratica alla presidenza). Al di là del fatto in sé (molto significativo), questo tiene in piedi un dubbio: il team di Mueller sa altre cose, e ha altri capi di accusa, rispetto a quelli diffusi?
L’aspetto interessante dietro all’audizione di Schiller è che lui era veramente un intimo quotidiano di Trump, e questo conferma che l’inchiesta sta lambendo il presidente. Dopo il lavoro per The Donald da privato, appena dopo l’elezione era stato nominato White House director of Oval Office operations. A settembre ha dovuto lasciare il posto, dopo una spallata dei normalizzatori. Era detestato dal gruppo più moderato del potere trumpiano, perché era colui che apriva l’accesso al presidente alle denunce/richieste più radicali che provenivano da fuori della Casa Bianca. Se avevi qualcosa di strambo da passare al Prez (con “strambo” ci si riferisce a tutte quelle questioni che riguardano il mondo del nazionalismo più estremista che sta anche dietro a Trump), cercavi Keith e lui glielo faceva avere. Così pare siano nati diversi dei tweet più sgangherati e aggressivi del presidente.
Schiller, che Bloomberg descrive come “il primo e l’ultimo collaboratore che Trump vedeva ogni giorno” fu colui che il presidente incaricò di consegnare a mano la lettera di licenziamento all’ex capo dell’Fbi James Comey, che Trump silurò – per sua stessa ammissione – perché non gli piaceva il modo con cui conduceva l’indagine sulla Russia. Schiller andò al dipartimento di Giustizia per dare la comunicazione, ma non trovò Comey, che era Los Angeles per un seminario: uno dei filoni chiave che Mueller e le Commissioni stanno seguendo sull’inchiesta riguarda gli eventuali intralci alla giustizia del presidente. Il licenziamento del capo del Bureau è considerato uno di questi. Schiller era anche con Trump a Mosca nel 2013, anno in cui, durante il concorso di Miss Universo, si sarebbero svolti i fatti del dossier lurido raccolto da democratici (e repubblicani) sul candidato Trump.
(Foto: Wikipedia, Schiller insieme a Jared Kushner, potente genero di Tump, anch’egli invischiato nel Russiagate)