Il seminario di filosofia dal titolo “Parole guerriere. L’età dei cittadini” nasce alla Camera dei deputati con l’obiettivo di approfondire il tema della “parola” come strumento di trasformazione della società. Insomma, sarebbe difficile scommettere persino sulla presenza dei propri parenti. E invece la sala è stracolma, accoglie un centinaio di persone, ed è piena di fotografi e giornalisti. Il miracolo riesce al Movimento 5 stelle e alla sua deputata, Dalila Nesci, che ha dato impulso e curato il ciclo di appuntamenti “Parole guerriere”. La ricetta del successo è presto spiegata: gli ospiti chiamati a intervenire sono gli esponenti di punta del Movimento, il clima è informale e, soprattutto, si parla poco di filosofia. Piuttosto, l’atmosfera è quella del comizio politico in piazza. C’è la musica di Rino Gaetano a dare il benvenuto ai partecipanti, tutti diligentemente indirizzati verso la sala da un battaglione di hostess sorridenti. C’è qualcuno che non trova posto a sedere ma aspetta in piedi senza lamentarsi, in attesa di ascoltare i parlamentari Alessandro Di Battista, Dalila Nesci, Paola Taverna e il filosofo Marco Guzzi; raggiunti, poco più tardi, dalla sindaca di Roma Virginia Raggi.
Quando si parla di “età dei cittadini”, spiega Nesci, si intende quel momento storico in cui “il popolo si libera del suo disagio esistenziale e prende coscienza del suo ruolo”. Le intenzioni della deputata M5S sarebbero buone, ma le imbeccate a Dibba e a Taverna rimangono tanto vaghe da lasciare pericolosamente la briglia sciolta ai protagonisti. E così, come un fiume, Dibba inizia il racconto della sua scelta di non ricandidarsi, dell’esperienza con gli altri politici “abbullonati alle loro poltrone” mentre lui restituisce parte del suo stipendio e “mai si sarebbe candidato con il Movimento senza il vincolo dei due mandati”. Parla di Formigoni e di agrobusiness, di Silvio Berlusconi e delle elezioni perse in Sicilia, del voto di scambio, di Cosa Nostra, delle “proposte del Movimento per rendere ancora più duro il carcere duro dei mafiosi al 41-bis” e di Francantonio Genovese. E ne avrebbe ancora se non lo interrompesse a sorpresa Rino Gaetano con “Gianna”, improvvisamente diffuso a tutto volume dagli altoparlanti della sala. «Meglio Gianna di Gianni Letta», scherza Di Battista. Segno però che è anche arrivato il tempo di passare il microfono alla senatrice Taverna, chiamata da Nesci a spiegare “come rappresentare i cittadini della periferia”.
Il discorso della senatrice è incentrato sul riscatto sociale, affrontato con piglio romano. Eppure, dietro al racconto a tinte forti di una democrazia “azzerata” e della speranza permessa “dalla rivoluzione del Movimento”, si nasconde un ritratto molto vivo delle periferie, nel quale affiorano le difficoltà incontrate da chi è lontano dai centri di potere ed è chiamato a lottare per “il diritto al pensiero” di un cambiamento possibile. In definitiva, è l’unica vera “testimonianza” capace di non uscire dai binari dell’incontro, né scadere nella propaganda. Anche la sindaca di Roma ci prova, almeno all’inizio. In poco tempo, però, tutto torna al solito elenco delle cose fatte, dei progetti ancora da sviluppare e delle infinite difficoltà che Roma porta in seno a chi tenta di amministrarla.
La filosofia, alla fine, dovrebbe arrivare con il professor Guzzi. A sostegno delle sue tesi chiama Jürgen Habermas, Naomi Klein, Serge Latouche e Pier Paolo Pasolini. Eppure, tutto finisce per assumere le sembianze di un endorsement ai Cinque stelle. “Abbiamo avuto l’esempio di un linguaggio diverso nella politica. I caratteri diversi del Movimento sono l’umanità e l’umiltà”, sostiene Guzzi, “lontani dal linguaggio freddo, disumano e falso dei mass media”. Così, proseguendo con alcuni attacchi di matrice grillina ai giornalisti, il filosofo romano offre una risposta al disagio esistenziale: “Seminare idee perché c’è fame di speranza”. L’unica via, per Guzzi, è quindi “essere antisistema”, avanzando in direzione di un “cambiamento radicale. E chi sostiene il contrario è un collaborazionista”. Tutto questo, assicura Guzzi, è necessario per combattere “un sistema oligarchico planetario che coinvolge la finanza, la politica e i mass media”. Forse “troppo” persino per il più agguerrito Cinque stelle, figurarsi per il nuovo corso di Luigi Di Maio.