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Ecco come il Giappone fa risorgere il Tpp anche senza gli Stati Uniti

Il Trans Pacific Partnership (TPP), l’accordo di libero scambio nato con lo scopo di abbattere le tariffe fra una dozzina di nazioni dall’America al Sud Asia, sta per cambiare completamente volto. Sabato i Paesi partner si sono riuniti in Vietnam al margine del vertice dell’Asia Pacific Economic Cooperation (APEC), cui hanno preso parte, fra gli altri, il presidente americano Donald Trump e il presidente cinese Xi Jinping. Era passata meno di una settimana dall’insediamento alla Casa Bianca quando Trump aveva deciso a fine gennaio di tirar fuori gli Stati Uniti dall’accordo, perché ritenuto dannoso per l’occupazione e le imprese americane.

Con un tratto di penna, sotto gli occhi soddisfatti di Steve Bannon e dei suoi più stretti collaboratori, il presidente aveva mandato in fumo mesi di faticosi negoziati sul più ambizioso patto di libero scambio di sempre, poco prima che approdasse al Congresso. Il gesto aveva da subito attirato pesanti critiche su Capitol Hill. Non soltanto perché, di lì a poco, sarebbero iniziati i negoziati per ridiscutere il NAFTA con il Messico e il Canada, dove il presidente avrebbe dovuto far rientrare dalla finestra molte delle disposizioni del TPP. Ma anche perché diversi Paesi membri dell’accordo, a cominciare dal Vietnam e il Giappone, avevano visto nel ritiro la rinuncia statunitense alla leadership globale, lasciando un vuoto che avrebbe potuto facilmente colmare la Cina di Xi.

Con il summit vietnamita gli 11 Stati che hanno preso parte al TPP hanno scelto di continuare la strada intrapresa, tenendo in vita l’accordo che, dopo il passo indietro di Trump, in molti davano per moribondo. È il Giappone il vero regista dell’operazione: la resurrezione dell’accordo di libero scambio “invia un messaggio molto forte agli Stati Uniti e agli altri Paesi della regione Asia-Pacifico” ha ammonito ad Hanoi il suo ministro del Commercio Toshimitsu Motegi. Il messaggio è innanzitutto per la Cina di Xi Jinping, da un anno rivestitasi da alfiere mondiale della globalizzazione.

Temuta non solo dal Giappone, ma anche da altri attori regionali come il Vietnam. Curioso, si potrebbe pensare, che un Paese con una storia intrisa di comunismo possa diffidare di Pechino, scegliendo l’Occidente come alleato. Una contraddizione che spiega al New York Times un alto dirigente del Ministero della Pubblica Sicurezza vietnamita, il generale Le Van Cuong: “La Cina compra con il denaro diversi leader, ma nessuno dei Paesi suoi alleati, come la Corea del Nord, il Pakistan e la Cambogia, sta andando bene. I Paesi vicini agli Stati Uniti si ritrovano in condizioni assai migliori”.

Così si comprende la delusione degli 11 partners, specialmente quelli asiatici, dinnanzi alla tenerezza che Trump ha avuto verso Xi Jinping nel suo viaggio a Pechino. Ci si aspettava il degno epilogo di una dura campagna estiva contro la concorrenza sleale cinese ed il furto di proprietà intellettuale. E invece il Tycoon, anche durante la sua apologia dell’America First al summit APEC, non ha preso di petto il governo di Pechino, arrivando addirittura ad accusare le precedenti amministrazioni USA per la concorrenza truccata del Dragone, perché, fosse stato lui al posto dei cinesi, avrebbe “fatto lo stesso”.

Un risentimento anti-trumpiano pervade dunque una parte dei Paesi partner del nuovo TPP. Basti pensare che fra gli 11 figurano due potenze come Canada e Messico, entrambi ai ferri corti con l’amministrazione Trump per la rinegoziazione del NAFTA. Venerdì gli auspici per risollevare il TPP sembravano pessimi, racconta la CNBC, dopo che meeting degli 11 è stato annullato per colpa di un forfait del presidente canadese Justin Trudeau. Al margine del summit APEC si è però raggiunta un’intesa. Il nuovo accordo, che prenderà il nome di Comprehensive and Progressive Agreement for Trans Pacific Partnership (CPTTP) e che, qualora andasse in porto, resterà il più ambizioso della storia, prevede l’abbandono di una ventina di disposizioni, la maggior parte sui diritti di proprietà, cavallo di battaglia dell’ex partner statunitense.

Via alcune clausole ambientali, così come viene stracciata una dichiarazione a favore del multilateralismo commerciale. Segno che Shinzō Abe vuole tenere aperta la finestra per un’eventuale ritorno degli Stati Uniti nel patto. Ma anche che, da quando Trump è arrivato alla Casa Bianca, le regole e il linguaggio della globalizzazione sono cambiati irreversibilmente. È l’”effetto Trump” che aveva marchiato il comunicato finale del G20 di Amburgo in netto contrasto con l’anno precedente. Lo stesso è accaduto con la dichiarazione dei leaders del summit APEC in Vietnam. Un anno prima, in Perù, promettevano di “mantenere i mercati aperti” e “combattere ogni forma di protezionismo”. Adesso un più timido endorsement per il libero scambio è accompagnato dall’urgenza di “affrontare le scorrette pratiche commerciali” e rimuovere “i sussidi e qualsiasi altro supporto governativo che distorca il mercato”.



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