L’intelligence sudcoreana ha sufficienti informazioni per affermare pubblicamente che Pyongyang sta preparando un nuovo test, non è ben chiaro se si tratterà di un altro missile oppure di un’esplosione atomica. La stampa di Seul è stata invitata a un briefing riservato dell’intel e i giornalisti hanno potuto raccontare soltanto che i servizi segreti credono che entro fine anno un nuovo test accompagnerà quello che ufficialmente verrà dichiarato come il lancio in orbita di un satellite civile. E intanto il regime, secondo gli osservatori costanti e attentissimi del sito North 38, sta spingendo lo sviluppo per mettere in operatività un sottomarino in grado di lanciare missili balistici (e vorrà testarlo e dare dimostrazioni).
E LA RISPOSTA DI TRUMP?
Questo è il principale elemento pratico dietro a una situazione delicata che si sta innescando negli Stati Uniti: se un test dovesse colpire il territorio di un alleato americano, oppure se il Nord dovesse provare un altro ordigno nucleare, la Casa Bianca potrebbe trovarsi costretta a rispettare alcune delle severe minacce retoricamente alzate finora, e magari rispondere con bombardamenti contro i siti missilistici e, per iperbole, arrivare addirittura a un confronto nucleare. Ecco, è questo il tasto dolente: l’uso dell’Atomica.
I CRUCCIO DEI GENERALI
Sabato, il capo dello Strategic Command del Pentagono, il generale John Hyten (colui che gestisce l’arsenale strategico, nucleare, americano), ha parlato all’Halifax International Security Forum, in Canada, e ha detto che si sarebbe opposto ad un eventuale ordine del presidente – il Commander-in-chief, colui che gira sempre accompagnato dalla Football, la valigetta coi codici nucleari da poter usare in ogni momento – se solo lo avesse ritenuto “illegale”. S’è scatenato un putiferio, con la solita polarizzazione: da una parte chi s’agganciava alle dichiarazioni per cercare l’ennesima conferma nel dire che Donald Trump è “unfit” per il suo ruolo, e infatti anche i generali stanno prendendo provvedimenti; dall’altra chi accusava Hyten di una pericolosa insubordinazione che avrebbe mostrato il fianco al nemico. “Inutile dire che tutto questo non è normale”, commenta il vate dei giornalisti politici americani Mike Allen nella sua newsletter domenicale: il fatto che questo sia anche soltanto un argomento di conversazione, dice Allen, è una questione senza precedenti, e la dice lunga sull’ansia che circola tra i top funzionari a Washington.
NIENTE DI NORMALE
La scorsa settimana per la prima volta in quaranta anni, la commissione Esteri del Senato (guidata da un repubblicano che si oppone al presidente del suo partito, Bob Corker) ha chiesto a Hyten domande sull’autorità del presidente di lanciare attacchi nucleari. Al forum canadese il generale è stato più esplicito: se dovesse succedere che Trump mi chiede di avviare la procedura, ha detto, io gli darò i miei consigli, e se dovessi reputare che davanti a me c’è un’azione illegale “indovinate cosa gli dirò?: È illegale presidente!”. E se dovesse chiedere cosa sarebbe legale, “gli dirò che gli Stati Uniti dispongono di un ampio mix di capacità di risposta per ogni situazione di crisi. Questo è il modo in cui le cose funzionano, non è complicato”; insomma, non un attacco atomico e via. “Credo che qualcuno ci abbia presi per stupidi. Ma noi non siamo persone stupide, ci pensiamo a cose del genere, come fai a non pensarci quando hai questa responsabilità […] se esegui un ordine illegale, potresti andare in prigione e potresti andare in prigione per il resto della tua vita”, ha detto Hyten. Ossia, un comandante militare di altissimo livello ha esternato pubblicamente le proprie preoccupazioni personali (e professionali) nell’eseguire un eventuale ordine partito dalla Casa Bianca perché potrebbe essere illegale; l’uscita pubblica non ha certamente niente di normale.