“Il mondo sta guardando!”. Così il presidente americano Donald Trump ha ammonito su twitter l’Iran, dove è in corso un’ondata di proteste contro il governo di Hassan Rohani, alcune delle quali finite a suon di bombe lacrimogene e manette. “Diverse notizie di proteste pacifiche da parte dei cittadini iraniani, che non tollerano più la corruzione del regime e il suo sperperamento della ricchezza del Paese per finanziare il terrorismo all’estero” recita il tweet di questa notte, “Il governo iraniano dovrebbe rispettare i diritti del suo popolo, incluso il diritto di esprimersi”.
Many reports of peaceful protests by Iranian citizens fed up with regime’s corruption & its squandering of the nation’s wealth to fund terrorism abroad. Iranian govt should respect their people’s rights, including right to express themselves. The world is watching! #IranProtests
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 30 dicembre 2017
Le manifestazioni contro il governo hanno preso piede a partire da questo giovedì in diverse zone del Paese, inclusa la capitale Teheran, dove una cinquantina di manifestanti è stata presto dispersa dalle squadre anti-sommossa della polizia. A Nord Est, nella città di Mashad, due milioni di abitanti, centinaia di persone si sono riversate in piazza contro il recente aumento dei prezzi. Altri trecento dimostranti hanno marciato per le vie di Kermanshah, ad Ovest, la principale città dell’omonima regione che lo scorso novembre ha pianto più di 600 morti per un violento terremoto. Le centinaia di video riversatisi sul web nelle ultime ore, scrive il Guardian, mostrerebbero sit in simili in altre città del Paese come Qom, Sari e Hamadan.
Un file rouge unisce le proteste disseminate a macchia di leopardo nel Paese: la rabbia per la corruzione del governo Rohani, l’aumento dei prezzi sui beni di consumo e delle tasse, compresa l’odiatissima tassa per l’espatrio, imposta a chi desideri lasciare l’Iran. Rohani aveva vinto il suo secondo mandato lo scorso agosto con la promessa di risollevare l’Iran dalla grave recessione economica in cui versava. Gli ultimi dati consegnano l’immagine di un’economia ancora dipendente dal petrolio (e dunque dalla volatilità del prezzo cui l’oro nero è venduto), affaticata dalle nuove sanzioni statunitensi imposte dall’amministrazione Trump, rallentata da una disoccupazione giovanile che si aggira attorno al 40%.
Sarebbe però riduttivo considerare l’ondata di dissenso che sta attraversando il Paese come una semplice protesta dettata da ragioni economiche. Dalle grida contro il fisco i manifestanti sono infatti presto passati agli slogan contro Rohani, l’ayathollah Ali Khamenei, e più in generale il regime clericale che vige a Teheran. “Il popolo chiede l’elemosina, i chierici stanno da Dio” ha gridato la folla a Qom secondo la Bbc. Sono stati poi uditi distintamente cori contro la politica estera di Rohani, accusato di sperperare la ricchezza del Paese per finanziare gruppi organizzati in Siria e in Libano. “Lascia la Siria, pensa a noi” ha urlato la folla a Mashad, e poi “Non per Gaza, non per il Libano, la mia vita è per l’Iran”. Altri ancora si sono spinti a cantare: “Morte ad Hezbollah, a Khamenei e alla repubblica islamica”,mentre nel Nord-Ovest del Paese, a Qazvin, c’è chi ha gridato ai mullah di andarsene, perché la rivoluzione del 1978 “è stata un errore”.
Inside Iran: PPL chanting “Death to Hezbollah, Khamenei (Supreme Leader) & the Islamic Republic”@realDonaldTrump#Iran #Iranprotests pic.twitter.com/CExN2xauNN
— Áhmad Mohammad⚪ (@HabIIb76) 30 dicembre 2017
Come scrive oggi La Stampa, è stato Telegram, il social network creato dal visionario russo Pavel Durov, a canalizzare la protesta online, ancora una volta. Perché già durante le elezioni del 2013 le chat, rigorosamente criptate (da sempre un’arma a doppio taglio, perché sono il mezzo di comunicazione prediletto dai terroristi), avevano permesso agli oppositori di Rohani di ritrovarsi sul web scavalcando la censura di Teheran.
Soppresse le prime manifestazioni, ora le alte autorità islamiche chiedono a gran voce una repressione più dura. È il caso del fedelissimo di Khamenei nel Nord Est del Paese, Ahmad Alamolhoda, che secondo l’agenzia di Stato IRNA avrebbe detto: “Se le forze e le agenzie di sicurezza lasciano i manifestanti a se stessi, i nemici pubblicheranno filmati nei loro media e diranno che la Repubblica Islamica ha perso la sua base rivoluzionaria a Mashad”.
Non si è fatta attendere la risposta alla repressione dei manifestanti iraniani del dipartimento di Stato americano, che ha pubblicato un duro comunicato contro il governo di Rohani. “I leaders iraniani hanno trasformato un Paese ricco di grande storia e cultura in uno Stato-canaglia economicamente distrutto, che esporta violenza, massacro e caos” ha tuonato Heather Nauert, la portavoce del segretario Rex Tillerson, che ha aggiunto: “Come ha detto il presidente Trump, da sempre la più grande vittima dei leaders iraniani è il popolo iraniano stesso”.