“Io sono uno scienziato e guardo il mondo attraverso gli occhi della scienza”. Mario Capecchi, è uno dei principali genetisti al mondo – premio Nobel per la medicina nel 2007 – italiano di nascita ma cittadino Usa d’adozione. Dopo un’infanzia difficile e mille peripezie – con il padre disperso in Libia e la madre deportata a Dachau durante la Seconda guerra mondiale – è riuscito a raggiungere gli Stati Uniti, dove è diventato uno degli scienziati più importanti al mondo. Ha avuto il grande merito di scoprire come funzionano i geni negli organismi viventi attraverso l’esperimento sul primo topo knockout, cioè un topo che possiede un gene disattivato in laboratorio. Le ricerche di Capecchi – che ieri è stato insignito del premio Pair al Centro Studi Americani – hanno aperto alla tecnica del gene targeting, senza la quale oggi non si potrebbe praticamente fare tutto ciò che si fa in laboratorio per modificare i geni.
IL FUTURO DELLA SCIENZA
“La mia prima preoccupazione è il futuro della scienza e in particolare il futuro della prossima generazione di scienziati”, ha detto il professore in questa conversazione con Formiche.net. “L’Italia è piena di giovani talenti, capaci di ottenere risultati straordinari con le loro ricerche scientifiche, ma la cosa più importante è fornire loro una casa, un luogo dove possono crescere, esprimersi al meglio e prosperare”. Capecchi fa capire che in Italia questa casa non c’è. “Quello che noto spesso è che in Italia questi talenti scappano negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, Francia, Germania, Svizzera, e non rimangono nella loro casa. In Italia è necessario costruirne una per i giovani talenti, dove i nostri figli possono stare”. “La scienza è il motore che traina tutta l’economia mondiale e solo l’innovazione può farci stare al passo con i problemi del mondo”, ha proseguito il premio Nobel, “e vorrei dare un consiglio a studenti, professori universitari e politici, per aiutarli a costruire questa casa”.
I PROBLEMI DELL’ITALIA
“In Italia le risorse messe a disposizione per la ricerca sono state distribuite male fin dal secondo dopoguerra. Sono rimaste ai vertici del sistema, senza mai scendere fino ai più giovani ricercatori”, ha spiegato Capecchi. “Nonostante l’Italia fosse già ricca di talenti, anche tra i giovanissimi, le università non hanno avuto la capacità di sfruttare l’entusiasmo di chi, negli ultimi anni di università, è sempre pieno di idee e progetti di ricerca, ma non riesce a trovare i fondi per poterli realizzare”. Il professore ha detto che il vero problema per chi vuole fare ricerca nel nostro Paese è la distribuzione delle risorse, perché “si perde quell’attimo fondamentale nella vita di ogni giovane studioso e il risultato è molto grave: molti scappano altrove a cercare i finanziamenti, altri perdono semplicemente l’entusiasmo e rinunciano a fare ricerca”.
LA RIVOLUZIONE
“I giovani studenti devono provare a cambiare la mentalità dei professori e dei rettori universitari e parallelamente devono spingere i politici a modificare questo sistema di ridistribuzione dei fondi”, ha affermato ancora Capecchi. Che poi ha aggiunto: “Si può fare in modo rapido, ma serve uno stimolo dal basso, perché dall’alto non arriverà alcuna proposta. Se i giovani non sono capaci di raggiungere i fondi necessari per poter studiare e fare ricerca come lavoro, saranno costretti a continuare ad andare all’estero. In Italia bisogna andare contro questo dogma che stabilisce una allocazione dei fondi che non permette ai giovani ricercatori di fare ricerca con i giusti strumenti, ma se ci aspettiamo che il sistema venga cambiato dall’alto resteremo delusi. L’unica possibilità è che il cambiamento arrivi dal basso, attraverso vari canali di protesta, sia nel mondo accademico che in quello politico. I giovani devono fare una rivoluzione dal basso per far capire quanto valore viene sprecato lasciando andare i talenti che abbiamo in Paesi dove semplicemente vengono pagati, dotati di strumenti al passo con i tempi e valorizzati”.
LE RACCOMANDAZIONI
Un altro aspetto che ci mette in difficoltà è il nostro sistema di raccomandazioni non trasparente, che spesso si trasforma in mancanza di merito. Come ha sottolineato ancora Capecchi: “Negli Stati Uniti le raccomandazioni esistono e sono trasparenti, senza essere viste come una cosa negativa. Il talento in Italia c’è, ma quando i giovani cercano lavoro non lo trovano. Gli mancano i contatti e la ricerca del lavoro diventa contact dependent, mentre invece dovrebbe essere talent dependent. La paura della conoscenza ha frenato la scienza dall’alto, perché troppo spesso la politica non vuole che il sapere scientifico si diffonda. Negli Stati Uniti ne abbiamo un esempio, Trump è il primo ad aver paura della scienza e del potere che essa diffonde senza differenze tra gli esseri umani”.
IL DISASTRO AMBIENTALE
C’è poi un’altra preoccupazione su cui Capecchi si è concentrato: il rispetto dell’ambiente soprattutto di fronte al fenomeno del surriscaldamento globale. “È un dato di fatto, non una teoria: dobbiamo assumerci la responsabilità in modo forte e chiaro, anche se gli Stati Uniti si sono tirati indietro dagli Accordi di Parigi”, ha rilevato il premio Nobel. Che ha concluso: “È possibile che questo sia l’unico pianeta dove la vita può prosperare e questo rende la nostra presa di responsabilità ancora più urgente. Io spero che la scienza possa essere la soluzione del problema. Sono sempre stupito delle grandi capacità che l’essere umano dimostra quando si trova in una situazione di emergenza, adesso che gli oceani stanno morendo così velocemente è arrivato il momento di trovare con ingegno una soluzione, a patto che si abbia la volontà di farlo”.
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