Voteremo il 4 marzo. La campagna elettorale, iniziata ufficiosamente da alcune settimane, è ormai una realtà di fatto. Sarà lunga e sarà dura: come è giusto che sia in un Paese democratico importante com’è il nostro. La novità, ovvia ormai, è che ci sono tre forze politiche in campo fin dall’inizio, e che non ne esiste adesso sulla carta una maggioritaria in senso assoluto sulle altre.
I veri fattori decisivi sono il centrodestra, architrave di ogni futura gestione parlamentare che si istituirà dopo l’insediamento, nonché la guida attenta, intelligente e rigorosa di Sergio Mattarella, arbitro di garanzia, come Costituzione prevede, per la formazione del futuro governo.
Il programma che terrà uniti insieme Forza Italia e le destre è molto chiaro, collaudato, ed è stato presentato da Silvio Berlusconi sul Corriere della Sera in una lunga intervista. L’avversario da battere è preciso: si tratta del Movimento Cinque Stelle, una forza politica nata all’insegna della vocazione protestataria, capace di raccogliere consensi qualunquisti, ma non dotata di credenziali di affidabilità programmatica, nonché priva di ogni prova di governo.
Berlusconi ha spiegato con freschezza che oggi sarebbe una scelta irresponsabile navigare a vista, senza esperienza, come se il nostro Paese fosse l’Isola che non c’è.
D’altronde il PD sembra ormai entrato in una fase difficile, forse finale, della sua storia. La sinistra è in crisi dappertutto, e il tentativo di Matteo Renzi di rinnovarla non incontra più i favori popolari, centellinando probabilità e possibilità.
La sinistra ha ricette vecchie, e soprattutto replica un progetto per lungo tempo restato al potere senza che i risultati abbiano dato benefici pubblici visibili e riscontri personali tangibili. L’economia cresce ma la gente comune non lo percepisce. Questo è il problema, un vero dramma per la maggioranza uscente.
Alla crisi storica del progressismo, riformista o massimalista che sia, un crollo che segnala la fine temporale di una visione culturale non riuscita nei suoi intenti secolari, Berlusconi risponde con alcune ricette che sono la vera base odierna di un ritorno dell’Italia al centrodestra.
In primis la Flat Tax, ossia una riduzione fiscale seria, ottenuta attraverso semplificazione e minore stratificazione delle aliquote. In effetti, Berlusconi ha ragione a citare come precursore in tal senso un leader democratico mondiale come John Kennedy, a cui si potrebbe aggiungere perfino la Sinistra Storica di Agostino Depretis che fece in Italia alla fine dell’Ottocento una dura lotta da sinistra contro le vessazioni fiscali inique, quali, ad esempio, la tassa sul macinato.
Detassare vuol dire sempre interpretare il potere come servizio, abbandonare il miraggio della totale dirigibilità politica dell’economia, ragionare sulla capacità che una riforma fiscale seria possiede di auto finanziare lo Stato, rilanciando l’economia reale ed eliminando l’evasione sfiduciata.
Luigi Sturzo diceva che bisogna pensare sempre che la più dannosa ideologia politica è lo Stato concepito come entità separata e trascendente rispetto agli uomini concreti, un dannoso dirigismo a cui bisogna sostituire l’opposta fiducia politica nella positività che i cittadini hanno di produrre ricchezza con la propria creatività ed intraprendenza, distribuendola liberalmente con i propri profitti e il proprio buon senso. Una generosità libera crea coesione sociale; un obbligo fiscale indotto, invece, sfalda la società, frammenta la comunità e crea condizioni di protesta e di debito.
Interessante è anche il tema dello Ius Soli: favorevoli sì, ma non così. Ossia non con una legge che non seleziona e quindi non riconosce il significato fondamentale che detiene essere membri di una nazione come la nostra. Essere parte di una storia e di una mentalità non è una procedura legale, e non può prescindere mai dal condividere la propria identità profonda, che contempla libertà economica, religiosa e culturale.
In terzo luogo, vi è la politica estera: Europa sì, ma a partire dall’Italia. E ciò significa valorizzare al massimo i nostri impegni internazionali, garantendo però prestigio, pretendendo dagli altri riconoscenza e riconoscibilità politica delle qualità intrinseche che abbiamo e mettiamo in atto.
Il cuore di tutto il progetto del centrodestra unito sta in questa visione giusta, concreta, sistematica, complessiva e culturale dell’Italia. Il nostro Paese ha bisogno di ritrovare la propria coincidenza, di far emergere i propri talenti e le proprie virtù, ma ha soprattutto urgenza di ottimismo e fiducia in un suo futuro nel quale istituzioni, società civile e imprese possano condividere e sentirsi protagonisti di un destino collettivo nazionale.
Se ragiona in questi termini il centrodestra è forte, e la questione della collaborazione tra Berlusconi e Matteo Salvini è già risolta favorevolmente, prima ancora di cominciare la finale volata elettorale.