Il Great Firewall cinese, il sistema di censura e controllo della Rete nazionale realizzato da Pechino, stringe sempre di più le sue maglie. A dimostrarlo è un recente (e allarmante) episodio raccontato dal Wall Street Journal. Nonostante ciò, le imprese della Repubblica Popolare continuano a espandersi in Occidente, dove questi problemi – commentano diverse associazioni in difesa dei diritti umani – non vengono sovente sollevati in nome del business.
IL CASO CHEN SHOULI
Una sera di settembre, evidenzia il quotidiano americano, un supervisore di cantiere cinese, Chen Shouli aveva fatto una battuta su un presunto triangolo amoroso che coinvolgeva una celebrità e un altissimo funzionario governativo. Il messaggio era stato inviato in una conversazione di gruppo su WeChat, un’app cinese comparabile a WhatsApp e diffusissima nel Paese.
Quattro giorni dopo, dice il Wsj, la polizia ha telefonato all’uomo dicendogli che doveva interrogarlo. Sul momento Chen, 45 anni, si è detto stupito, non comprendendo cosa stesse accadendo, ma dopo gli è stato molto chiaro: il rapporto della polizia parla esplicitamente del suo commento su WeChat, considerato un reato punibile, tra l’altro, con detenzione senza processo.
SEMPRE MENO PRIVACY
Oggi in Cina, spiega la testata Usa, ci sono sempre meno spazi privati. E, oltre al già citato monitoraggio online, le forze dell’ordine possono fermare cittadini per strada e chiedere loro di leggere i messaggi sul loro smartphone, in modo da intercettare a sorpresa eventuali malcontenti.
CENSURATE ANCHE LE FOTO
Ma ad essere controllati non sarebbero solo i messaggi. WeChat, ha rilevato uno studio realizzato dal Citizen Lab dell’Università di Toronto, rimuoverebbe non solo testi considerati ‘pericolosi’, ma anche foto e immagini.
LA NUOVA LEGGE SULLA CYBER SECURITY
Questi aspetti si uniscono a un controllo capillare dei dati utilizzati da imprese straniere. Da sei mesi è entrata in vigore nel Paese una nuova e severa legge sulla sicurezza informatica cinese. Ciò sta ancora mettendo in crisi i dirigenti tecnologici occidentali che temono che questo impianto normativo metta a repentaglio la proprietà intellettuale delle loro società e i dati raccolti. Infatti la legge, oltre a chiedere di fornire una grande quantità di dati – anche sensibili – prevede che le informazioni commerciali e i dati sui privati cittadini non possano essere trasferiti all’estero senza previa autorizzazione.
I TIMORI DELLE IMPRESE
La legge sulla sicurezza informatica, riporta sempre il Wall Street Journal, è stata per queste ragioni al centro di una sessione a porte chiuse di due ore tenuta qualche settimana fa a margine della World Internet Conference, evento sponsorizzato dal governo di Pechino a Wuzhen. Vi hanno preso parte circa 60 rappresentanti di società tecnologiche straniere, gruppi commerciali e altri hanno incontrato Zhao Zeliang, a capo dell’Amministrazione del cyber space dell’Ufficio cinese per la sicurezza informatica.
La sessione ad alto livello è coincisa con un nuovo sondaggio del U.S.-China Business Council (un gruppo che rappresenta circa 200 compagnie con attività in Cina, tra le quali Apple, Amazon e Microsoft) che ha messo in luce i diffusi timori sulla legge. Secondo il gruppo commerciale, l’82% degli intervistati “è preoccupato per l’impatto delle normative cinesi in materia di dati e cyber” (ma molte aziende, rileva il Wsj, si starebbero comunque già mettendo in regola con le nuove norme cinesi per paura di essere estromesse dal mercato del gigante asiatico).