Il 22 dicembre 2017 ricorrerà il settantesimo dell’approvazione della nostra Costituzione. I partiti del Cln (comitati liberazione nazionale) che avevano combattuto il fascismo, dopo la disastrosa esperienza della dittatura di Mussolini e della fine ingloriosa del secondo conflitto mondiale, decisero di indire un referendum popolare per stabilire se gli italiani preferivano ancora di essere sotto il regime monarchico dei Savoia o se sceglievano di affidarsi alla repubblica democratica. Il 2 giugno 1946 gli elettori decisero per la Repubblica. Nella stessa tornata furono eletti 556 rappresentanti all’Assemblea Costituente con il compito di scrivere la Costituzione della Repubblica Italiana. Il 15 luglio 1946 fu istituita all’interno dell’Assemblea la Commissione dei 75, organismo centrale, essenziale per scrivere concretamente il progetto di Costituzione. I suoi lavori si protrassero fino al dicembre del 1947 appunto. All’iter costituente parteciparono e vi lavorarono materialmente democristiani, comunisti, socialisti, azionisti, liberali, indipendenti.
Il gruppo democristiano e quello comunista di Palmiro Togliatti furono i più attivi nell’elaborazione del disegno costituente. De Gasperi, Gonella, Aldo Moro, i coniugi Iervolino–DeUnterrichter, Stefano Riccio, Costantino Mortati, il gruppo di Dossetti, Fanfani, La Pira, Lazzati: i “professorini”, come li chiamava De Gasperi, furono i più propositivi sul piano culturale, giuridico, politico, costituzionale. L’impegno politico di Fanfani, di Dossetti, di La Pira e Lazzati animò il gruppo di Civitas Humana o dei “professorini”. Essi, con altri amici cattolici, durante gli anni della Costituente, impegnarono inesauribili energie morali, culturali, politiche per plasmare e giungere a un disegno organico della nuova Carta fondamentale della Repubblica, che dopo cento anni andava a sostituire lo “statuto albertino” di emanazione savoiarda. La solida preparazione giuridica, illuminata dalla visione personalista, dei dossettiani rese più complesso il lavoro dei costituenti nella fase dell’elaborazione, ma agevolò la ricerca di un delicatissimo equilibrio tra esponenti di formazioni politiche diverse e opposte.
I professorini ebbero modo di conoscersi a Milano all’Università Cattolica di Padre Gemelli e con questi e il prof. Padovani iniziarono un confronto fecondo con docenti e assistenti della Cattolica, tendente alla rielaborazione degli ideali cristiani, alla luce della crisi della società italiana e delle difficoltà che il pensiero cattolico incontrava di fronte ai gravi problemi sociali che l’Italia stava attraversando. Tra loro non c’era sempre accordo, intesa, sintonia sulle strade da percorrere per il raggiungimento degli obiettivi. Sulle motivazioni ideali però non c’erano differenze, queste emergevano sul piano della prassi. Chi rimase legato a valide prospettive di concreto impegno cristiano nella politica fu Fanfani, sin dalla sua prima esperienza nel 1945 quale responsabile SPES (Propaganda e Studi) della DC di De Gasperi. Egli pensava all’organizzazione degli “uomini di buona volontà”, illuminati dalla scienza, come unico percorso possibile, per rianimare la presenza politica dei cattolici nella vita pubblica in una società profondamente in trasformazione.
Bisognava agire, dando coscienza ai cattolici degli indistruttibili principi cristiani. Nella lotta al comunismo si distingueva dai vecchi popolari, ancora legati ad un anticomunismo arcaico e pregiudiziale. Lo scontro col Pci comunque era sempre ruvido e duro, anche durante i lavori dell’Assemblea Costituente. La cultura dell’aretino Amintore lo induceva a credere in una terza via: il personalismo cristiano, (tra individualismo-capitalistico e collettivismo-marxista), che riteneva il cittadino non solo soggetto-elettore, ma protagonista dei processi politici; il lavoratore partecipe del processo produttivo alla pari dell’imprenditore. Fanfani, tenace sostenitore della partecipazione dei cittadini alla vita dello Stato e dei lavoratori alla vita delle aziende era molto legato ad una sua convinzione, diventata poi regola di comportamento: “Non proteggere il lavoratore paternamente, ma chiamarlo fraternamente alla corresponsabilità della comunità nazionale”. La partecipazione, condizione fondamentale per allargare la libertà e far crescere la democrazia fu l’idea da cui partì anche don Sturzo, per la nascita del partito popolare.
La Costituzione Italiana rappresenta la mirabile sintesi delle idee delle varie culture politiche del Novecento, in particolar modo del personalismo cattolico, scaturigine di una storia ideale ed etica che ha attraversato decenni e che il gruppo democristiano, tra cui i professorini, ha saputo ben trasfondere nella Carta costituzionale. Per averne cognizione, basterebbe leggere con particolare attenzione l’art. 3, chiarissimo compendio della missione quasi religiosa che animò i “padri costituenti” nella stesura della Carta: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale, e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
Buon compleanno amata Costituzione, sempre lunga vita.