“L’America dovrebbe essere qui (a Baghdad, ndr) solo con l’ambasciata, qualsiasi loro presenza militare la prenderemo di mira”, dice così Saif Ali, un membro 37enne della milizia Harakat Hezbollah al-Nujaba, che attualmente fa capo alle Forze di mobilitazione popolare irachene (acronimo inglese Pmf). Il suo gruppo armato ha sede nel governatorato del sud dell’Iraq, a Bassora, ed è una delle milizie che l’Iran ha mobilitato per aiutare il governo amico di Baghdad contro lo Stato islamico. Teheran arma e dà vario genere di sostegno a questi partiti combattenti in diversi paesi del Medio Oriente. Si tratta di una strategia di politica estera che ha permesso alla Repubblica islamica di costruire un network armato con cui giocare influenza nella regione. Il piano è mosso dal generale Qassem Souleimani, che per esempio qualche giorno fa era al funerale del leader della Fatemiyoun Division, un’altra milizia sciita satellite iraniana che è stata fatta scendere dall’Afghanistan per difendere il regime di Damasco (alleato tattico di Teheran) dai ribelli.
L’ESPANSIONE AGGRESSIVA IRANIANA
La creazione del Califfato e la rivoluzione siriana — che in una narrazione disattenta o faziosa potrebbero essere collegate, ma in realtà sono due eventi soltanto sovrapposti — ha permesso a queste unità paramilitari di guadagnare i galloni. Le Pmf — che da quando nel 2014 sono state create dopo una fatwa dell’ayatollah Sayyed Ali Hosseini al Sistani hanno fatto da ombrello a tutti i gruppi filo-iraniani in Iraq — hanno in effetti combattuto contro i baghdadisti: erano a terra mentre i cacciabombardieri americani decimavano la catena di comando e i pick up del Califfo. Ora che si trovano nello stesso lato dei vincitori, rivendicano diritti politici sul futuro. Un primo successo è stato raggiunto a novembre scorso, quando sono state inserite dal governo iracheno tra le forze di sicurezza regolari; prossimo traguardo sono le elezioni di maggio, in cui diversi leader miliziani correranno per seggi in parlamento. Lo stesso discorso vale in Siria: se Bashar el Assad non è finito senza testa già nel 2013 (l’espressione fa presa proprio in senso letterale) ed è riuscito a schiacciare i ribelli, deve tutto agli stivali sul terreno di questi gruppi armati — e dunque all’Iran che li gestisce e comanda — e alla copertura aerea russa. Ora gli ayatollah presentano il conto.
IL REPORTAGE DI FOX NEWS
“Il nostro obiettivo non è quello di essere pagati dal governo iracheno, ma di combattere in Siria e al-Quds (arabo per Gerusalemme, ndr), e attendiamo ordini dai nostri religiosi”, aggiunge un uomo della Lega dei Giusti, collega del tipo degli Hezbollah iracheni (che sono cugini di quelli iraniani in Libano). I miliziani iraniani hanno parlato con una reporter di Fox News che si trovava a Baghdad; un altro ha detto: “Ho combattuto gli americani dopo il 2003, e gli inglesi nel sud dell’Iraq, e ne sono felice. Non odio il popolo americano, odio solo i militari americani, e ne ho uccisi molti”. Ai tempi della Guerra d’Iraq erano conosciuti come “gruppi speciali”, e sono stati responsabili di un jihad contro gli americani identico — se non peggiore — di quello dei qaedisti iracheni che anni dopo sarebbero diventati gli attuali baghdadisti. Le parole affidate a Fox sono per Washington solo che una conferma, perché da settimane gli Stati Uniti sono nel pieno del confronto politico (e armato) che segnerà il futuro del Medio Oriente post guerra civile globale siriana: la sfida per bloccare l’espansionismo iraniano. Ancora: Fox è il media mainstream più vicino alla Casa Bianca, e quelle dichiarazioni del miliziano iraniano dall’Iraq diventano anche spin politico a favore di un’amministrazione che segue una linea anti-iraniana quasi in modo dottrinale, oltre che per allinearsi sulle posizioni dei grandi partner regionali.
IL CONTESTO REGIONALE
Contrastare la diffusione aggressiva iraniana è l’elemento centrale nella politica estera della nuova Arabia Saudita di Mohammed bin Salman e di Israele (lo è al punto che i due paesi hanno aperto contatti dopo anni di distanze incolmabili, e forse chi ci rimette già sono i palestinesi, che nel frattempo vengono fomentati contro Washington, Tel Aviv e Riad, attraverso link che Teheran ha creato nella Striscia e in Cisgiordania in un modo simile a quanto fatto a Baghdad, Damasco, Beirut e in parte a Sanaa). A novembre il capo della Cia Mike Pompeo (che una postura molto anti-iraniana) ha inviato una lettera proprio a Souleimani per avvisare che gli americani avrebbero ritenuto l’Iran responsabile delle scorribande dei miliziani in Iraq: Souleimani non ha nemmeno aperto la missiva. Qualche mese fa un soldato americano è rimasto ucciso sul suolo iracheno in un’esplosione di un ordigno improvvisato non usuale: per quanto noto era del tutto simile a quelli a penetrazione che i miliziani sciiti filo-iraniani fabbricavano in Iraq negli anni dell’occupazione per uccidere gli americani.
(Foto: Twitter, Qassem Souleimani con miliziani sciiti in Siria)