Il soprannome torna a coincidere con quello del romanzo di Vitaliano Brancati: “Paolo il caldo”. Non più “il freddo”, come lo chiamavano tutti fino a ora. Perché la conferenza stampa del premier è stato il giorno dell’orgoglio gentiloniano. Paolo Gentiloni, infatti, ha rivendicato con forza i risultati del suo governo e anche degli ultimi esecutivi Letta e Renzi. Ma senza quasi mai citare il segretario del Pd, lasciato assolutamente sullo sfondo di un palcoscenico che oggi è tutto per lui. Non cita il governo Renzi e cita molto poco anche il Pd. Anzi, lo bacchetta, per esempio sulla mozione parlamentare contro Ignazio Visco. Insomma, il sottotesto della conferenza stampa di fine anno sembra essere: sono riuscito a governare nonostante gli errori e le fughe in avanti di questo Pd. Dimenticanze? Ingratitudine? Improbabile, semmai tattica e strategia.
Una divaricazione non portata all’eccesso, però, perché Gentiloni è sempre un’anima assai prudente e sa bene di essere a pieno l’espressione del Partito democratico (e del suo vertice) e di questa maggioranza. Che lui ringrazia, come ringrazia pure i suoi ministri, “una squadra di eccellenze che ha avuto moltissimi meriti e senza i quali non saremmo riusciti a realizzare ciò che abbiamo fatto”. Si tratta però di una piccola presa di distanza, un solco che non lo allontana dall’attuale vertice del Pd, ma nemmeno lo fa essere tutt’uno con esso. Un segno di distinzione soprattutto dal cosiddetto “giglio magico”. Anche se poi sottolinea di “aver chiesto a Maria Elena Boschi di restare al suo posto” nonostante le polemiche. E di “voler fare campagna elettorale per il mio partito, il Pd”.
Alla fine, insomma, nonostante un po’ di grigiore generale, Gentiloni esce positivamente da questo passaggio parlamentare e il bilancio del suo governo è sostanzialmente positivo, nonostante abbia attraversato una vicenda traumatica come la scissione del Pd, che ha indebolito numericamente la sua maggioranza di governo in Parlamento. E, come ha ribadito anche in conferenza, ciò che gli premeva più di tutto in questo finale era “una conclusione ordinata della legislatura”. Un fine in discesa, senza problemi e strappi, come poteva essere lo ius soli, su cui lui stesso ha avuto modo di verificare la mancanza di numeri. “Un provvedimento così importante non si affronta in finale di legislatura, oltretutto con i numeri ad alto rischio. Avrebbe fatto male anche al provvedimento”, ha confidato il premier più volte negli ultimi giorni al suo staff, ribadendolo, con parole diverse, anche davanti ai giornalisti.
Gentiloni, dunque, resterà in sella fino all’arrivo del prossimo governo. E la domanda è: che carte avrà da giocarsi il premier nella prossima legislatura? Il fatto di restare a Palazzo Chigi avrà il vantaggio di preservarlo dai veleni e le naturali polemiche della campagna elettorale. Nonostante i desideri di Renzi e l’impegno promesso, sarà difficile per lui stare accanto al segretario Pd in campagna elettorale. La sua permanenza a Palazzo Chigi, poi, dipenderà dal grado di stallo che uscirà dalle urne. Se davvero dalle elezioni non dovesse uscire una maggioranza chiara per governare e si dovessero aprire lunghe trattative tra le forze politiche, chiaro che la sua permanenza al governo si allungherà, rischiando di durare anche alcuni mesi. Questa però è un’arma a doppio taglio: se da una parte gli varrà come crediti nella costruzione di un profilo da “riserva della Repubblica”, difficilmente potrà però essere lui a tornare a Palazzo Chigi nel caso si costituisse un governo di larghe intese Pd-Forza Italia. Potrebbe giocare un ruolo importante, semmai, in un ipotetico governo del presidente per preparare il Paese a una seconda tornata elettorale che, secondo i maggiori analisti, non avverrebbe prima del prossimo autunno. Ma qui rischiamo di sconfinare nella fantapolitica.
Di sicuro, però, un governo di centrosinistra o di larghe intese lo vedranno protagonista in un ministero di peso (Interni o Esteri). Anche se, nelle ultime ore, circola pure l’ipotesi di un suo utilizzo come presidente di Camera o Senato. Insomma, questo anno e passa di governo non ha danneggiato il curriculum professionale dell’ex braccio destro di Francesco Rutelli. Che ne esce stimato dagli italiani (basta vendere gli indici di gradimento) e gradito alla politica, a partire dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.