Le reazioni palestinesi al riconoscimento americano di Gerusalemme capitale dello Stato di Israele sono state durissime, e oggi, nel venerdì di preghiera collettiva per i musulmani, la situazione potrebbe degenerare. Le varie fazioni hanno indetto la terza “giornata della collera”, ma se Fatah, il partito del presidente Mahmoud Abbas, chiede al popolo di manifestare in modo pacifico, Hamas si appresta a scatenare la terza intifada, a ridosso del trentesimo anniversario della prima, quella delle pietre, iniziata il 9 dicembre del 1987.
La divisione riflette l’opposta visione sui colloqui di pace con Israele. Mentre Fatah è l’interlocutore dello stato ebraico, degli Stati Uniti e dei paesi arabi nel contesto del negoziato che l’America si accinge a rilanciare, Hamas rimane su posizioni di intransigenza. Su iniziativa dell’Egitto di Abdel Fattah al-Sisi, le due parti hanno formalmente ricucito a novembre lo strappo consumatosi dieci anni fa, quando Hamas occupò manu militari la striscia di Gaza strappandola all’autonomia palestinese guidata da Abbas. Ma l’intesa è fragile, e la decisione di Trump potrebbe riallargare il fossato.
Mentre ieri un consigliere di Abbas, Naser Al-Qidwa, supplicava i palestinesi di manifestare pacificamente, e il primo ministro Rami Al-Hamdallah si recava a Gaza per gettare acqua nel fuoco, il leader di Hamas, Ismail Haniyeh, ha esortato i seguaci a seguire la via dello scontro. “Abbiamo dato istruzioni a tutti i membri di Hamas”, ha detto Haniyeh, “di essere pronti a ricevere nuove istruzioni o ordini che potranno essere dati per affrontare questo pericolo strategico che minaccia Gerusalemme e la Palestina”. Il presidente americano, ha aggiunto, “si pentirà della sua decisione”.
I segnali contrastanti dei vertici palestinesi atterrano su una situazione tesissima. Ieri, giornata di sciopero generale, con negozi e scuole chiuse, ci sono stati scontri in tutti i territori, da Hebron a Betlemme, che hanno costretto l’esercito israeliano a schierare nuovi battaglioni. Fonti mediche parlano di un centinaio di feriti, uno dei quali in condizioni gravi. A Gaza, frattanto, in migliaia si radunavano nel parco di Gaza City, urlando slogan incendiari. Dall’enclave sono partiti due razzi, precipitati secondo l’esercito di Gerusalemme fuori dal territorio israeliano. Le forze armate hanno risposto con colpi sparati dall’aviazione e da un carro armato. L’attacco è stato rivendicato dalle brigate Al-Tawheed, sigla salafita di Gaza che è parte dell’universo militante contiguo ad Hamas.
Anche nel resto del mondo islamico la tensione si taglia a fette. Centinaia di giordani hanno manifestato fuori dell’ambasciata americana ad Amman al grido di “l’America è la testa de serpente”. Analoghe proteste si sono registrate presso i consolati Usa in Turchia e Pakistan e in diverse città della Tunisia. A Baghdad, il chierico sciita Moqtada al-Sadr ha convocato una conferenza stampa nella quale ha invocato una “primavera araba” contro Israele. A Beirut, il capo di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha esortato tutti i governi a ritirare i propri ambasciatori da Tel Aviv, minacciando rappresaglie. Dalla Siria alla Somalia, diverse formazioni jihadiste hanno promesso vendetta.
Mentre queste notizie venivano battute dalle agenzie di stampa, l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Difesa dell’Unione Europea Federica Mogherini scandiva il suo “ve l’avevo detto”. “L’esponente del Pd aveva avvertito nei giorni scorsi che la mossa americana avrebbe avuto “un impatto potenziale molto preoccupante”, perché interviene, ha dichiarato ieri Mogherini, in “un contesto molto fragile e l’annuncio può farci potenzialmente tornare indietro a tempi molto più bui di quelli che stiamo vivendo”.
Dal canto suo, il segretario di Stato americano Rex Tillerson, ieri a Vienna per un vertice Osce, ha confermato la bontà della decisione di Trump. “Tutti gli uffici governativi israeliani sono già abbondantemente in Israele, così gli Stati Unti stanno solo riconoscendo questa realtà”. Ma la scelta del capo della Casa Bianca, ha precisato Tllerson, “non definisce definitivamente lo status di Gerusalemme, che saranno le parti a discutere”. L’America, ha affermato il segretario, è impegnata nel rilancio dei colloqui di pace, che prenderanno corpo a gennaio quando il genero di Trump, Jared Kushner, rivelerà i contorni dell’iniziativa americana. Che però, come i fatti di queste ore evidenziano, parte male.