Il vicepresidente americano Mike Pence arriverà mercoledì in Israele, tre giorni dopo rispetto a quanto previsto inizialmente, perché voleva essere negli Stati Uniti per partecipare ai voti del Senato sulla riforma fiscale. “Pence si recherà in Egitto e Israele, dove riaffermerà l’impegno degli Stati Uniti nei confronti dei suoi alleati in Medio Oriente e collaborerà per sconfiggere il radicalismo”, aveva dichiarato la sua portavoce, Alyssa Farah, al Jerusalem Post.
“Aspetta con impazienza conversazioni costruttive sia con il Primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che con il presidente egiziano Abd al-Fattāḥ al-Sīsī per ribadire l’impegno del presidente Donald Trump nei confronti dei nostri partner nella regione e nel suo futuro”, ha spiegato Farah. Pence ha in programma di lasciare Washington martedì e arrivare in Egitto il giorno successivo, dove avrà un incontro bilaterale con al-Sisi. Da lì volerà in Israele la sera e visiterà il Muro Occidentale poco dopo il suo arrivo. Giovedì, Pence ha fissato un incontro bilaterale con Netanyahu, per poi cenare con lui nella sua residenza. Venerdì, è in programma un incontro con il presidente Reuven Rivlin e la visita a Yad Vashem, prima di tornare a Washington passando per la Germania, dove visiterà il personale dei servizi armati statunitensi presso la base aeronautica di Ramstein.
Fonti diplomatiche a Gerusalemme hanno respinto come ipotesi infondate che il posticipo di Pence avesse a che fare con la diffusa critica palestinese e musulmana per la decisione degli Stati Uniti della scorsa settimana di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Il presidente dell’Autorità palestinese Mahmūd Abbās aveva detto dopo l’annuncio di Trump che non avrebbe incontrato il vicepresidente statunitense. L’amministrazione americana ha certamente aggiunto benzina sul fuoco organizzando la visita di Pence al Muro Occidentale, anche se il vicepresidente non è il primo alto funzionario americano a visitarlo. Trump stesso si è fatto scattare una foto accanto al Muro Occidentale quando è arrivato in Israele lo scorso maggio.
La visita di Pence è stata preceduta da una telefonata di un rappresentante della Casa Bianca ai giornalisti israeliani in cui si sottolineava che il vicepresidente avrebbe visitato il Muro Occidentale come parte della sua visita ufficiale e che l’amministrazione non poteva concepire alcun accordo di pace se il Muro Occidentale non fosse rimasto parte di Israele. Questa posizione è anche quella della maggioranza degli israeliani, ma ci sono molti dubbi che una tale dichiarazione in questo momento aiuti a calmare i nervi. Fatah ha annunciato in risposta alla visita di Pence una serie di giorni di rabbia a Gerusalemme e nei territori, che inizieranno mercoledì e proseguiranno fino alle preghiere del venerdì. Questo annuncio significa che le proteste palestinesi continueranno per tutta la settimana.
Mahmoud al-Aloul, un alto funzionario di Fatah, ha detto durante il fine settimana che la sua organizzazione sta considerando un ritorno alla lotta armata contro Israele. Aloul ha affermato che il processo di pace di Oslo è finito e che adesso è di nuovo legittimo utilizzare tutti i gli strumenti, anche quelli più violenti, nella lotta contro Israele. Il coordinatore per le attività del governo israeliano nei territori, il generale Yoav Mordechai, ha chiesto un chiarimento dopo la dichiarazione di Aloul. Voleva sapere, senza tanti giri di parole, se Fatah intende incoraggiare gli spari contro gli israeliani. Una interessante discussione è emersa sulla pagina Facebook di Mordechai, quando un portavoce della fazione Tanzim di Fatah ha affermato che la lotta violenta è legittima, ma che in questo momento è inefficace a causa della forza militare di Israele.
Domenica è stato nominato un sostituto di Mordechai. Si tratta del generale Kamil Abu-Rukon, fino a questo momento impegnato al ministero della Difesa. Abu-Rukon diventerà il secondo druso promosso al grado di generale maggiore, dopo Yusef Mishleb. Il ministro della Difesa Avigdor Lieberman ha descritto Mordechai come “una risorsa strategica per lo Stato di Israele” e spera che continuerà a lavorare nell’interesse del Paese. Mordechai è stato capace di spegnere molti degli incendi accesi tra israeliani e palestinesi, per lo più dietro le quinte, durante i suoi anni di mandato. Resta da vedere se avrà l’opportunità di aiutare a fare lo stesso nella vicenda della dichiarazione di Trump, le cui ripercussioni non sono ancora scomparse.
In migliaia infatti hanno partecipato alle proteste in tutto il Medio Oriente durante il fine settimana. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha dichiarato domenica che intende aprire un’ambasciata a Gerusalemme, “la capitale della Palestina”, anche se non è chiaro come sarebbe in grado di tradurre le parole in fatti. L’effetto domino della dichiarazione di Trump di spostare l’ambasciata Usa a Gerusalemme si è sentito anche nello stato africano centrale del Gabon, dove un uomo del posto ha pugnalato due fotografi danesi, affermando di averlo fatto per la preoccupazione legata alle dichiarazioni di Trump. Si profilano altri giorni di altissima tensione in tutto il Medio Oriente, non solo per la visita di Pence.