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L’Inghilterra, le gang islamiche e la gogna mediatica

Era solo lunedì scorso quando l’ennesima gang islamica finiva davanti ad una corte di giustizia inglese, questa volta a Sheffield. Trentatré i reati di cui dovranno rispondere, e tutti commessi tra il 1998 e il 2005. Siamo ancora nelle secche dell’annosa, brutale e complicata storia di abusi sessuali ai danni di bambine e ragazzine nell’Inghilterra multiculturale. Sempre di più le città coinvolte in una storia dove le violenze sessuali vennero tenute nascoste dalle autorità per il terrore di essere tacciate di razzismo o islamofobia.

Nelle scorse ore l’ex detective della polizia di Manchester, che aveva aperto il fascicolo dei casi di pedofilia a Rochdale – e che si è dimessa nel 2012 per l’incapacità del sistema di consegnare i responsabili alla giustizia -, ha voluto, finalmente, rompere il silenzio. Maggie Oliver ha deciso di raccontare alla stampa britannica la pressione e il mobbing subiti nel suo dipartimento per aver tentato di rivelare che i protagonisti di quella aberrante vicenda erano musulmani pakistani. Elemento che ricorre in ognuno dei casi legati alle diverse città: l’origine dei criminali ha lasciato coprire di polvere i fascicoli nel terrore della gogna mediatica.

Quando Maggie Oliver ha raccolto il coraggio di parlare pubblicamente dopo tanto tempo, ci ha tenuto a precisare che la ragione per cui ha deciso di farsi avanti è stata l’aver scoperto la storia di un ex collega, il detective John Wedger. Wedger, non solo ha subito le medesime pressioni per mano del dipartimento di polizia di Greater Manchester, ma adesso è persino in cura da qualche psichiatra, conseguenza del calvario che ha dovuto soffrire: le sue condizioni psicologiche lo hanno costretto al prepensionamento. Era una storia in cui non ficcare il naso, gli dicevano i colleghi, le gang islamiche sono una brutta faccenda. La Oliver ha raccontato che il suo incarico, in quella che è stata battezzata “Operation Span”, era guadagnare la fiducia delle piccole vittime e incoraggiarle a parlare dei loro violentatori. E quando riferì a chi di dovere che le ragazzine puntavano il dito contro uomini musulmani, il dipartimento di polizia minimizzò ogni prova e tutto il suo lavoro. Ma Oliver e Wedger non sono state le uniche vittime, oltre le ragazzine, dell’ “Operation Span”.

Basti pensare a quest’estate, quando Sarah Champion, parlamentare laburista di Rotherham, si è dovuta dimettere da ministro ombra di Corbyn per le donne e l’uguaglianza, per aver scritto un editoriale su The Sun in cui riconosceva: “La Gran Bretagna ha un problema con le gang islamiche di pakistani che violentano e sfruttano ragazze bianche”.
In un destino simile è finito impigliato anche Nazin Afzal, amministratore delegato dell’Associazione dei commissari di polizia, costretto a dimettersi per le dure dichiarazioni che aveva indirizzato agli islamisti dopo l’attentato dell’Arena di Manchester. E sulla scia delle dimissioni della Champion, Channel 4 News esaminò alcune statistiche pubblicate nel rapporto ‘Child Exploitation and Online Protection’ del 2013 in cui si faceva riferimento all’identità e ai motivi dei perpetratori: i dati hanno rivelato che il numero di musulmani provenienti dall’Asia meridionale coinvolti in casi di abusi sessuali e altri reati è tre volte superiore a quello dei criminali di altre origini.

Tutte le volte che le gang islamiche sono finite davanti alle corti, l’unica cosa che hanno saputo fare è manifestare il loro orgoglio musulmano e il disprezzo per l’Occidente in ripetuti e ostentati “Allahu Akbar”. Prima e dopo le condanne. E affermando, con estrema tranquillità, che la colpa era solo delle vittime: “Le ragazze bianche sono sudice, non hanno vergogna quando si vestono e non temono Allah”.

Giusta tecnica per scoraggiare anche le vittime: la gogna dell’ “islamofobia”, è più forte della giustizia.



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