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Ecco il manuale del KGB per reclutare spie su suolo americano

Stefanini, Russia, sanzioni putin

Il Daily Beast pubblica in esclusiva una serie di documenti ancora coperti da classifiche di segretezza in Russia, utilizzati dagli agenti del KGB nel corso della guerra fredda come manuale per reclutare spie americane e carpire informazioni sugli Stati Uniti ed il blocco atlantico.

Il lavoro di reperimento e pubblicazione del materiale vanta la firma di Michael Weiss e riporta all’attualità un mondo di spie e segreti che sembrerebbe apparentemente confinato alla memoria della guerra fredda o ai film e alle serie televisive di spionaggio. Come spesso accade nel mondo dell’intelligence, però, l’apparenza è solo un velo da scoprire per accorgersi di una realtà più articolata e complessa di quanto si possa immaginare. Grazie al lavoro di Weiss possiamo, infatti, affermare che quel mondo è più vivo che mai e che ancora oggi i servizi segreti di Mosca, di cui Vladimir Putin ha fatto parte, continuino a utilizzare le tecniche minuziosamente descritte nel manuale.

Il brogliaccio svelato è in realtà parte di una mole più ampia di documenti che saranno pubblicati a scaglioni e serviranno a far luce su una guerra di spie mai finita, che dal mondo diviso in blocchi ha attraversato gli ultimi decenni e finisce oggi con l’aggravare il clima già teso che si respira sull’asse Washington Mosca, ormai quotidianamente sconvolto dalle notizie di ingerenze da parte russa nei processi democratici europei e americani.
Il valore del documento in cirillico va oltre l’aspetto puramente storicistico, o letterario se si vuole, e ciò è dovuto all’apposizione della classifica “Segreto”, stampigliata sulle pagine del brogliaccio e presumibilmente ancora valida per Mosca. Si tratta, dunque, della più importante rivelazione di informazioni sulle attività dei servizi di informazione sovietici dai tempi della defezione di Oleg Gordievsky, celebre disertore russo che squarciò in parte la coltre di mistero che da sempre avvolge il KGB e la rete di spie sovietiche nel mondo.

Il documento porta la data del 1989 ed è intitolato “Intelligence politica dai territori dell’ URSS” con un sottotitolo che fa chiarezza sull’utilizzo delle informazioni in esso incluse: “Approvato dall’URSS KGB PGU come manuale di formazione per studenti dell’Andropov Red Banner Institute in discipline speciali e agenti dell’intelligence esterna”.

Assai interessanti tanto le tecniche di ricerca e identificazione dei possibili target da parte dei “case officer” (le spie addette al reclutamento) quanto l’individuazione delle possibili motivazioni per spingere i soggetti target a tradire la propria patria: “Opportunità di contatto con i cittadini stranieri possono derivare da tutte le situazioni in cui costoro devono risolvere problemi e si trovano in una situazione di conflitto, come ad esempio, nel caso di violazione di regole doganali, incidenti stradali o ancora violazione di altre leggi. Gli agenti possono essere collocati in treni, aerei e hotel per attuare le tecniche di approccio”.

Il brogliaccio sarebbe calibrato con specifico riferimento alle tecniche di reclutamento verso cittadini occidentali e americani in particolare. L’ambiente attenzionato quello dei funzionari di qualsiasi livello dell’amministrazione e delle istituzioni, soprattutto se militari. La pubblicazione del testo ha offerto alla comunità intelligence statunitense l’opportunità di lanciare un ulteriore alert su un attivismo mai sopito da parte russa.

James Clapper, Director of National Intelligence negli anni dell’amministrazione Obama, non ha risparmiato parole dure nei confronti di Putin e della sua appartenenza al KBG negli anni antecedenti alla sua parabola ai vertici delle istituzioni russe: “Putin è un ottimo funzionario, sa come gestire un soggetto target ed è quello che sta facendo con il presidente. Sto dicendo questo in senso figurato, penso che sia necessario non dimenticare il passato di Putin. È stato un ufficiale del KGB. Questo è quello che fanno tutti quelli che hanno militato nel servizio. Reclutano risorse. E penso che l’esperienza e l’istinto di Putin siano entrati in gioco in questa circostanza e che il leader russo stia gestendo un target piuttosto importante, se mi concedete il termine con riferimento al nostro presidente”.

Poco è bastato, dunque, per riportare la discussione ai fatti del Russiagate e gettare sale sulle ferite mai completamente rimarginate tra gli apparati informativi americani e Donald Trump.


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