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La Chiesa di Francesco, sfide e prospettive. Parla il prof. Introvigne

In parole e gesti, Papa Francesco è prima di tutto un comunicatore. Lavora di bulino sui testi della Tradizione che ha ricevuto e che è chiamato a trasmettere. Non ne cambia una virgola, ma l’incipit del suo linguaggio è differente. Perché diversa è la mappa della navigazione della barca di Pietro. Quando sfoglia le cartine dell’Atlas Hierarchicus, geografica summa statistica della presenza della Chiesa nel mondo, individua rotte che si allontano dall’antico cabotaggio lungo le coste dell’occidente, spingendosi nei mari aperti del futuro della Catholica: America Latina, Africa, Asia.

I NUOVI ORIZZONTI DELLA CHIESA

Sono queste, in attualità e prospettiva, le nuove capitali del cattolicesimo. Lì crescono i fedeli, mentre l’Europa e l’America del nord si ritirano. Continenti di antica evangelizzazione che la navigazione intrapresa da Jorge Mario Bergoglio non trascura, ma affronta chiedendo una narrazione nuova. È cambiato “il tono, e il tono per Papa Francesco è fondamentale”. Sociologo, docente universitario, fondatore del Cesnur, il Centro studi sulle nuove religioni, tra i principali esperti al mondo del fenomeno religioso, per Massimo Introvigne quello dello stile comunicativo-pastorale è uno dei tratti più caratteristici del pontificato bergogliano. Del resto, analizza, più attuale oggi di cinquant’anni fa è l’intuizione di McLuhan: il medium è il messaggio. Francesco lo sa. E lo sfrutta.

LA RIFORMA? ABITA UNA LINGUA

Stile, linguaggio. Non rivoluzione, termine che in un’ampia conversazione con Formiche.net il sociologo non utilizza. Ma ci sono toni del sommo locutore Francesco che non di rado lasciano alcuni perplessi. O che, altrettanto di frequente, prestano il fianco alle strumentalizzazioni. Come se ci fossero fazioni partigiane in scontro sul campo di una guerra civile ecclesiale. Lo documentano i gran dibattiti sulla liturgia, l’accoglienza degli omosessuali, l’attenzione verso chi abortisce, la comunione ai divorziati risposati.

FRANCESCO E LA SFIDA DI ARRIVARE A TUTTI

Nel tempo del congedo dai “principi non negoziabili” della stagione wojtyliana e ratzingeriana, i princìpi rimangono fermi. Introvigne è certo che la Chiesa – per stare ai grandi argomenti morali come aborto, eutanasia e matrimonio – non cambierà posizione: “È impossibile”. Bergoglio, anche se poco raccontato, su quei temi è netto e in stretta continuità coi predecessori. Quello che c’è di diverso è l’atteggiamento pastorale. E i mezzi attraverso i quali la pastorale si comunica. Osserva il professore: “Del miliardo e duecento milioni di cattolici, si stima sia appena un milione quello che segue la stampa cattolica e legge i documenti. Per questo Francesco è scettico, sembra nutrire un sovrano disinteresse verso alcuni dibattiti seguiti da una minoranza. Sa che il messaggio della Chiesa passa altrove. Più in generale cerca di saltare le mediazioni, vuole rivolgersi ai fedeli direttamente”.

“PIÙ EFFICACE UN TITOLO SU REPUBBLICA E CNN CHE SU AVVENIRE”

Per stare all’Italia: sono più i cattolici che cliccano su Repubblica.it o quelli che leggono Avvenire? Risposta scontata. È così che scegliendo di utilizzare anche mezzi “laici” il Papa arriva oltre i confini dei territori prossimi: “Sa che è più importante avere una buona stampa su Repubblica o sulla Cnn che sui media cattolici”. Di nulla si cura del sottobosco di blog e siti internet frequentati da accanite minoranze.

TRA SCALFARI E INTERVISTE IN AEREO, IL RISCHIO FRAINTENDIMENTO CHE NON SCANDALIZZA

Scandaloso pontefice che insegue il mondo? Ebbe a dire lo stesso Bergoglio: “Non è obbligatorio che il Papa sia antipatico”. Così facendo si rischia il fraintendimento, la riduzione? Emblematico il periodico dialogo con Eugenio Scalfari, riportato “a memoria” nei resoconti del fondatore del quotidiano di largo Fochetti. Con puntuale rintuzzo di polemiche sulle posizioni attribuite al Pontefice. “Il rapporto con Scalfari si inserisce in una relazione personale, forse inaspettata ma non sorprendente. Ci sono precedenti, come quello di Giovanni Paolo II con il laico Sandro Pertini. Francesco sa di potere essere equivocato, con Scalfari e nelle interviste in aereo. È un rischio che corre quando insiste sulla necessità di avviare processi più che occupare spazi”.

LE BATTAGLIE CULTURALI PERSE E I LAICI SECOLARIZZATI DA INCONTRARE

Così come Francesco sa di sconcertare quella che Introvigne definisce la “minoranza dei reduci dalle culture wars”. “Le guerre culturali interessano pochi. I prolife militanti sono statisticamente interessanti, ma nella Chiesa non sono maggioranza. Sono guerre che la Chiesa ha già combattute e perse. Ora è il momento di gestire la sconfitta”. Non per retrocedere. Ma per incontrare e farsi prossimi alle persone. E la dottrina?

CIRCOLI RISTRETTI E QUOTIDIANITÀ DELLE PERSONE

Emblematico un commento ad una situazione concreta riportata dal cardinale Luis Antonio Tagle in una conversazione con Introvigne: nelle Filippine vivono 300 mila prostitute minorenni. Non tutte praticano per povertà. Ma quasi tutte si definiscono cattoliche. Osservava l’arcivescovo di Manila che discettare con loro di Concilio Vaticano II o di indissolubilità del matrimonio non serve. Sono parole che non arrivano. Quelli sono dibattiti per circoli ristretti. Come su Amoris Laetitia. Spiega il professore romano che oggi vive per lo più a New York: “Rivolgersi alle periferie, ai poveri come ai ricchi che hanno dimenticato il Padre Nostro, esige una narrazione differente”.

INTANTO IN UGANDA

Occorre che la Chiesa “si faccia prossima ai problemi reali delle persone, le ascolti nelle loro situazioni concrete”. Così quando, come nei giorni scorsi, il Papa ha parlato alla World Medical Association di fine vita e ha posto l’accento sulla proporzionalità delle cure più che sull’eutanasia, o quando ha scritto Misericordia et misera estendendo a tutti i confessori la facoltà di assolvere dalla scomunica per aborto, per Introvigne, Francesco aveva di mira un orizzonte ben più ampio delle geografie occidentali. Figurarsi del dibattito italiano: “Ci sono più cattolici praticanti in Uganda che nel nostro Paese”, rammenta.

“LA DOTTRINA NON CAMBIA, MA SI SVILUPPA”

A forza di prossimità, dialogo e ascolto, si diluisce il magistero? “La dottrina non cambia, ma si sviluppa”, sottolinea il sociologo. Stando alla questione dei divorziati risposati, Introvigne ricorda che lo sviluppo c’è stato nell’allargamento delle ipotesi di annullamento. E in linea con Benedetto XVI, che aveva riconosciuto che tante coppie ormai si sposano senza la consapevolezza del sacramento. Una ricerca tra i parroci condotta durante i sinodi sulla famiglia ha rivelato come già il 50% di loro concedesse l’eucarestia ai divorziati risposati. Negli Stati Uniti al momento della comunione quasi nessuno rimane al banco. Tutti si incamminano verso l’altare. Tutti santi e in grazia di Dio? “Non si va a sindacare la coscienza del prossimo, ma fossero tutti santi ci sarebbero conseguenze sociali che al momento non si vedono”, chiosa Introvigne. Che da qui sottolinea quella necessità di far tornare i fedeli alla confessione, a quel foro interno del discernimento in dialogo con il sacerdote, sul quale insiste Francesco.

SE SULL’AMBIENTE E IL CLIMA IL PAPA NON DISCERNE

Eppure se su certi temi il magistero pontificio si fa discernente e misericordioso, nel solco programmatico di un gesuita che, papale papale, “deve avere un pensiero aperto”, su altre questioni il tono è ben più assertivo. Come sui cambiamenti climatici. Introvigne ammette che alcune questioni attualmente appassionino di più il Papa: “Perché attraverso quelle pensa di poter dialogare con un numero più alto di persone, di avvicinarne di più. Preferendo intervenire, ad esempio, sull’ambiente, piuttosto che ribadire le battaglie sul matrimonio omosessuale”. Difatti sull’ambiente Bergoglio ha scritto un’enciclica. “Ma non credo ne leggeremo mai una sul gender. Perché ritiene che alzare la voce non serva”.

LUTERO, L’ORTODOSSIA E LE SFIDE ECUMENICHE

Se l’orizzonte del Papa guarda alle Chiese emergenti del sud del mondo, perché Francesco nel cinquecentenario della riforma luterana ha dedicato tanta attenzione ai protestanti che nel cuore dell’Europa secolarizzata attraversano una crisi più profonda dei cattolici? “In realtà credo che il suo dialogo ecumenico sia più concentrato verso l’ortodossia, come documenta lo storico incontro con il patriarca di Mosca Kirill e il rapporto costante con quello di Costantinopoli, Bartolomeo. Quanto ai luterani, Francesco, che ha studiato in Germania, ben conosce il deserto spirituale del nord Europa. Percepisce quanto il cristianesimo diviso sia un problema. E lavora perché ci sia una testimonianza comune, perché così ritiene si possa riaccendere un interesse verso il fatto cristiano”.

POCHI FEDELI A MESSA? “SONO ANCORA MENO DI QUANTO SI PENSI”

Fatto che non gode di particolare attrattività nemmeno in Italia. Nei giorni scorsi ha fatto titolo il rilancio di un’indagine Istat sulla partecipazione dei fedeli: solo un italiano su quattro va a messa, erano uno su tre dieci anni fa. Non è mancato chi ci ha letto un fallimento della linea Bergoglio. Débâcle di quell’effetto Francesco che Introvigne analizzava già nel 2013? “Innanzitutto il mio libro sosteneva che l’effetto non sia tanto da cercare dentro la Chiesa, come aumento statistico dei praticanti, quanto come capacità di incuriosire, avvicinare i lontani. Non è ritorno, ma attrazione sì”. Quanto ai dati sulla partecipazione alla messa domenicale, Introvigne è scettico sulle frane recenti. Spiega: “Quelli che si citano di solito sono dati di questionari o di Cati (interviste telefoniche, ndr). Non misurano la partecipazione effettiva alla Messa ma la partecipazione dichiarata, così come i sondaggi elettorali non misurano chi vota PD ma chi dice al sondaggista che voterà PD. Come sappiamo, sono cose diverse”. Ricorda che la percentuale del 27,5 della popolazione adulta che frequenta la chiesa una volta a settimana si riferisce alla partecipazione dichiarata, non a quella effettiva: “Registra chi dice di andare a messa, non chi poi ci va davvero”. Che secondo le stime di Introvigne si assesta, da anni, su un meno incoraggiante 17-18 per cento. Osservazioni corroborate da una indagine condotta qualche tempo fa dallo stesso Introvigne in Sicilia e da un collega nel Triveneto, Alessandro Castegnaro. Sul modello di quanto si fa in Polonia da quarant’anni. Ovvero: prima si conduce il sondaggio telefonico, poi si verifica, chiesa per chiesa, quanti in realtà hanno partecipato alla messa. E si certifica che la pratica effettiva è inferiore a quella dichiarata. “Certo – riconosce – il dato Istat non è irrilevante. Chi ha risposto alle domande non ha preso per il naso i sondaggisti, ma ha espresso un’identificazione religiosa, un senso di appartenenza”. Dunque nessun crollo recente. “Il crollo c’è stato alla fine degli anni Sessanta, in tutto l’Occidente e per tutte le grandi religioni e chiese, non solo per i cattolici. Quindi non si può neppure dire che sia colpa del Concilio. Un altro balzo all’indietro lo abbiamo registrato negli anni Ottanta, regnante Wojtyla. Dobbiamo incolpare anche san Giovanni Paolo II come oggi qualcuno pretende sia responsabilità di Francesco? I Papi non c’entrano nulla. Sono processi in atto da tempo, che continuano, con una costante, lieve diminuzione della partecipazione attiva”. Altra sfida a cui il “tono” francescano è chiamato a rispondere. Bastano i toni pastorali a tirare fuori la Chiesa cattolica dalle secche odierne?

SE ANCHE UN LAICO SI INTERROGA. TRA EMOZIONI E LIQUIDITÀ

Un osservatore laico come Gian Enrico Rusconi ha descritto, con punte di smarrimento, la teologia del pontificato come “narrativa”. “Emozionale”. Uno degli scrittori cattolici più letti al mondo, Vittorio Messori, nei giorni scorsi ha documentato il disagio: “Il credente è inquietato dal fatto che anche la Chiesa, che era esempio millenario di stabilità, sembra volere diventare liquida”. Queste navigazioni in mare aperto di Bergoglio si imperigliano in naufragi su isole sconosciute? “Credo siano prospettive eurocentriche. Il Papa guarda a tutto il mondo. Africa e Asia; Uganda, Kenya, Corea del Sud, Filippine. È vero che l’episcopato africano è stato tra quelli più conservatori al Sinodo sulla famiglia. Però lì ci sono specificità culturali, in particolare nel giudizio contro la pratica omosessuale, che contrastano con visioni europee più aperturiste. Il fatto è che non c’è una distinzione assoluta tra dottrina e pastorale”. Ancora una volta: è la questione del tono; quello è il messaggio dottrinale-pastorale che Bergoglio consegna alla Chiesa. Tono che ad alcuni fa problema.

RISCHIO SCISMA? SAREBBERO NUMERI DA NOTA A MARGINE

Conflitti e divisioni nella Chiesa ci sono sempre state. Una novità dai tempi di Pietro e Paolo. Non meno conflittuale la stagione conciliare del secolo scorso. Eppure, se oggi c’è chi paventa un rischio scisma tra le file degli oppositori allo stile del Vescovo di Roma, Introvigne si mostra fiducioso. Numeri alla mano: “Se parliamo di disagio e malpancisti, registriamo delle consistenze numeriche. Ma i vescovi della resistenza radicale saranno una quindicina in tutto il mondo. C’è un dissenso sordo, ma nessuna ribellione esplicita”. E i cardinali dei dubia, le correctiones filialis? Espressioni di un’élite intellettuale che non rappresenta il cattolicesimo mondiale a cui si rivolge il Papa. Tanto che chi potrebbe capeggiare uno scisma non ci pensa proprio: “Sanno che a quel punto dovrebbero contarsi, e che li seguirebbero in pochi. Massimo un centomila persone nel mondo. Numeri che finirebbero in una nota a piè di pagina in un volume futuro di storia della Chiesa”.

TANTO DISAGIO, MA LA CONTESTAZIONE REALE STA A ZERO

Se così irrilevanti, allora perché tanto accanimento verso questi perplessi dall’attuale pontificato? Tanta attenzione poco misericordiosa verso chi esprime un disagio o pone una semplice domanda? Lo stesso Introvigne un anno fa rilasciando due intervista a La Stampa e a La Nuova Europa aveva come dato il “la” ad una serie di inchieste giornalistiche sui presunti “nemici di Francesco”. “Se mi pongono domande, rispondo”, ridimensiona il sociologo, che pure fino a qualche tempo fa è stato firma di punta di pubblicazioni come Il Timone e La Nuova Bussola Quotidiana: “Non sono l’unico a non collaborare più con testate che erano nate per difendere il messaggio del magistero e dove oggi prevale il criticismo verso il Papa. Anche se, nel mio caso, hanno inciso anche vicende personali: io stesso sono un cattolico separato e sulla via del divorzio”. Più interessante per Introvigne è distinguere la galassia degli oppositori. Tra chi esprime un disagio – “magari per nostalgia di Benedetto XVI” –, e chi contesta esplicitamente, amplificato da blog e social network. Frange del cattolicesimo che rischiano di scivolare nel fondamentalismo: “Sono quelli che interpretano alla lettera il corpus dottrinale della Chiesa, contrapponendo una serie di testi all’autorità vivente, il Papa, che è garante dell’autentica tradizione”. Il cardinale Raymond Burke firmatario dei dubia è tra questi fondamentalisti? “Nel metodo sì”, è il giudizio del sociologo.

SFIDA PENTECOSTALE E LA “GAFFE” DI CIVILTÀ CATTOLICA

Sono pochi, non influiscono. Per questo Francesco di questi critici non si cura. Ben più preoccupato dalla sfida aperta dal movimento pentecostale, con 500 milioni di fedeli. Chiese in espansione che tolgono fedeli alla Catholica. Galassia eterogenea con la quale Bergoglio cerca di dialogare. Tanti i momenti, come quando è andato a Caserta due anni fa per incontrare l’amico Giovanni Traettino, pastore evangelico. Singolare che nel cuore dell’estate scorsa il quindicinale dei gesuiti Civiltà Cattolica – rivisto e approvato in segreteria di Stato – si sia impegnato a dare patenti di fondamentalismo evangelicale negli Usa. Stroncature che molti han scontentato in quel mondo. “È un articolo mal fatto”, ammette Introvigne: “L’obiettivo era una critica politica ai cristiani che sostengono Donald Trump, ma ha dato adito a tante altre letture”.

“DAGLI AMICI LO GUARDI IDDIO”

E gli amici, gli autoarruolatisi ad unici autentici interpreti del magistero di Bergoglio? Non sono in fondo anche loro in fuga oltre le intenzioni pontificie? Male accordati all’essenza del tono francescano? “Anche per un Papa non è facile scegliersi gli amici. Wojtyla ha difeso il fondatore dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel, nonostante gli avvertimenti di Ratzinger. Era preoccupato che le voci sul suo conto fossero messe in giro ad arte come avveniva in Polonia ai tempi del comunismo. Sappiamo che quelle accuse di condotte, non solo immorali ma criminali, erano del tutto drammaticamente fondate. Io stesso ci sono cascato: ho condiviso la difesa di padre Maciel che proponeva Papa Wojtyla e poi ho dovuto chiedere scusa. Benedetto XVI, poi, si è fidato di alcuni collaboratori, ma è nata Vatileaks. Nessuno, nemmeno un Papa, è immune da fiducie mal riposte”.

MA BERGOGLIO È IN MINORANZA

E il futuro? Secondo Introvigne, Bergoglio nella Chiesa oggi non ha la maggioranza. C’è una resistenza nell’episcopato. Gli esempi si sprecano. I vescovi polacchi sono divisi tra chi critica e chi sostiene, ad esempio, i rosari alle frontiere. I vescovi italiani non sono uniti. Sono resistenze sullo stile, non sulla sostanza del magistero pontificio, presenti fin dentro gli uffici della Curia romana. E si è visto come hanno risposto i vescovi degli Stati Uniti, bocciando alla presidenza del comitato prolife della loro Conferenza episcopale la candidatura del migliore interprete della linea Bergoglio.

IPOTESI SU UN EVENTUALE CONCLAVE

Dove va Francesco? Il seme del suo stile pastorale germoglierà nella Chiesa? Per Introvigne tutto dipende dalla durata del pontificato. Nonostante le riforme curiali, i ricambi episcopali e le nomine cardinalizie. Giochiamo con il professore a individuare un possibile successore. Introvigne accetta la sfida, “ma da giornalista, non da sociologo”. Non crede a una successione in senso opposto, con un Raymond Burke o un Robert Sarah, attuale prefetto del Culto divino, tanto amato dai meno persuasi dal tono di Francesco. Introvigne non crede neppure, guardando al fronte più bergogliano, che abbia possibilità, “per ora”, il giovane arcivescovo di Manila, Tagle. Più probabile una soluzione “centrista” che qualcuno potrebbe cercare nel profilo dell’attuale segretario di Stato, Pietro Parolin.

RIFORME PER STABILIZZARE LE RIFORME

Oltre il gioco dei nomi, serio è il ragionamento sulle regole del Conclave, che in molti starebbero suggerendo a Francesco di modificare. In ballo si è ipotizzato persino di studiare la possibilità di dare il voto anche alle conferenze episcopali. Ipotesi che il professore ritiene quasi fantascientifica. Troppo traumatica. Più verosimile un allargamento del numero dei cardinali elettori: “Solo così Francesco riuscirebbe a ridisegnare un sacro collegio che in caso di elezione del successore garantirebbe una continuità con la sua idea di Chiesa. Per il credente, però, questi sono appunto giochi da vaticanisti: alla fine poi ci pensa lo Spirito Santo”.

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