Cambio al comando per Airbus. Dopo le pesanti inchieste giudiziarie piovute sul Gruppo franco-tedesco negli ultimi mesi, tra accuse di fondi neri, tangenti e corruzione, ieri è arrivato l’annuncio del cambio dei vertici. Il ceo Tom Enders (in foto) non rinnoverà il mandato e lascerà dunque ad aprile 2019. Se ne andrà ancora prima il numero due dell’azienda Fabrice Brégier, coo e presidente di Airbus Commercial Aircraf, che ha rinunciato a correre per la successione a Enders decidendo di abbandonare l’incarico a febbraio 2018 “per dedicarsi ad altri obiettivi”. Al suo posto arriverà Guillaume Faury, attuale ceo di Airbus Helicopters. Per il nome del prossimo ceo occorrerà attendere invece ancora diversi mesi.
Nonostante il tentativo di rassicurazione del presidente del cda Denis Ranque – secondo cui il piano ha come obiettivo “assicurare all’azienda una successione pianificata e organizzata e proseguire nel costante sviluppo della squadra manageriale” – è difficile non leggerci dietro tutte le difficoltà che Airbus sta attraversando da qualche mese.
LE INCHIESTE APERTE
D’altronde, solo poche settimane fa, era stato proprio Enders ad annunciare ai propri dipendenti l’arrivo di “tempi turbolenti”. Il ceo aveva avvisato delle “possibili pesanti conseguenze, incluse consistenti sanzioni” che sarebbe potute arrivare dalle molteplici accuse che, ormai da mesi, piovono da mezza Europa sull’azienda. Sul lato civile del Gruppo, indagano il Serious fraud office (Sfo) britannico e il Parquet national financier (Pnf) francese, muovendosi da un’accusa di tangenti e corruzione connessa a presunte irregolarità nei rapporti con intermediari e terze parti per il cui pagamento potrebbero essere stati usati fondi neri ad hoc. A inizio ottobre era stata invece la procura di Monaco di Baviera a dichiarare vicina la chiusura dell’indagine sull’ipotesi di corruzione nella vendita da 2 miliardi di euro di 18 Eurofighter (poi ridotti a 15) all’Austria, nel 2003. Sulla stessa commessa è, tra l’altro, aperta anche l’inchiesta sponda austriaca, su cui a febbraio era addirittura intervenuto il ministro della Difesa, Hans Peter Doskozil, che aveva spiegato il sospetto di frode nei confronti di Airbus Defence and Space e del consorzio Eurofighter, annunciando poi, a luglio, la possibile dismissione anticipata (nel 2020 invece che nel 2037, come previsto) dei velivoli.
L’IMBARAZZO DEL MANAGEMENT
“Potete stare tranquilli – aveva detto a fine ottobre Enders al quotidiano tedesco Handelsblatt – quando non sarò più parte della soluzione, e spero di rendermene conto, trarrò le conseguenze (e lascerò). Ma per ora, non credo che siamo a questo punto”. Eppure il punto sembra ora essere arrivato. Nonostante l’ostentata sicurezza dei mesi scorsi, la notizia sul cambio del top managment era forse prevedibile, considerando come le vicende suddette gettassero una la luce inquietante sulla governance e l’etica del campione europeo.
UN GRUPPO TRA PARIGI E BERLINO
Sulla successione dei vertici potrebbe però aver pesato anche la perenne oscillazione del Gruppo tra Parigi e Berlino. Se il tedesco Enders poteva contare sull’appoggio del governo Merkel, il francese Brégier aveva il supporto di quello transalpino. L’attivismo del presidente Macron sul fronte industriale (e particolarmente su quello del comparto della difesa) ha riacceso frizioni mai sopite tra le due anime del Gruppo. Probabile che, considerando l’imbarazzo derivante dai molteplici casi giudiziari, a farne le spese siano stati proprio i due contendenti, tra l’altro in un momento in cui Francia e Germania stanno riorganizzando il proprio asse per giocarsi la partita sul campo della difesa comune europea.
UN CONFRONTO
In ogni caso, i fatti turbolenti di Airbus fanno sorgere un dubbio: cosa sarebbe accaduto se a finire sulla graticola fosse stata un’azienda italiana? Come sarebbe stato presentato un cambio così rilevante dei vertici? Per Airbus è stato elegantemente annunciato come “Piano di successione del top management”, tutt’altro rispetto a quanto forse siamo abituati a vedere da noi. Non si possono non ricordare a tal proposito le inchieste giudiziarie che hanno piegato Finmeccanica, decidendo le sorti di amministratori delegati, del modello organizzativo (la cosiddetta One company) e dello stesso nome del Gruppo, che ora infatti si chiama Leonardo. Si conferma un’impressione che avevamo già avuto: la differenza tra il trattamento riservato all’industria nazionale e a quella franco-tedesca è la stessa che passa tra un amplificatore e un silenziatore.