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Più che la fascia Meridionale è quella Orientale del Mar Cinese da tenere d’occhio, spiega la Brookings

La militarizzazione del Mar Cinese Meridionale, dove la Cina contende la sovranità territoriale su un set di isolotti nevralgici con altri Paesi che si affacciano in quel tratto di mare strategico per pesca, riserve e soprattutto rotte commerciali, è una delle situazioni di tensione principali nel Pacifico. Argomento centrale anche nel confronto tra Washington e Pechino, visto che a rivendicare sovranità su quelle acque, oltre alla Cina, sono tutti alleati americani. Come è partner strategico il Giappone, che rivendica le stesse priorità su un altra fascia del Mar Cinese, quella Orientale, considerata un bacino a rischio ancora più alto.

UN RISCHIO MAGGIORE

“Nonostante il profilo più basso, la disputa nel Mar Cinese Orientale potrebbe comportare un rischio maggiore di trascinare gli Stati Uniti in conflitto con la Cina rispetto alle varie dispute nel Mar Cinese Meridionale”, ha scritto in un’analisi Ryan Hass, David M. Rubenstein Fellow al programma di politica estera della Brooking Institution. Sia la Cina che il Giappone rivendicano una serie di isole nel Mar Cinese Orientale che coprono circa 81.000 miglia quadrate: sono chiamate Senkaku a Tokyo e Diaoyu a Pechino, l’area si trova vicino alle principali rotte marittime ed è ricca di riserve energetiche. Lì esiste un rischio maggiore di incidenti non intenzionali tra le forze cinesi e giapponesi”, ha spiegato Hass. I motivi: “La frequenza delle operazioni di close-in che coinvolgono asset cinesi e giapponesi, l’assenza di meccanismi di riduzione del rischio, e la mancanza di consenso tra Pechino e Tokyo su un comportamento accettabile“. Nell’ottica in questione, un esempio poco più a nord, nel Mar Giallo, su un fatto di cronaca di questi giorni: una motovedetta della guardia costiera sudcoreana ha sparato 249 colpi di avvertimento contro una flotta di pescherecci cinese che secondo i marinai di Seul stava pescando illegalmente fuori dalla acque cinesi. Incidenti delicati.

IL RISCHIO DI COINVOLGIMENTO PER WASHINGTON

Questo genere di incidenti sono un continuativo elemento di rischio, perché Seul, come Tokyo, sono alleati strategici americani; e inoltre sono gli attori principali, insieme a Washington e Pechino, della partita con Pyongyang. Se – per assurdo (?) – la soglia di guardia dovesse essere superato e questo confronto aprirsi in un conflitto, gli Stati Uniti sarebbero automaticamente coinvolti al fianco del Giappone (o della Corea del Sud), ha sottolineato Haas – l’ex presidente Barack Obama è stato il primo a sottolineare che le controversie nel Mar Cinese Orientale rientrano tra gli aspetti sotto la copertura del trattato Usa/Giappone. Per la Cina e il Giappone, “gli eventi nel Mar Cinese Orientale assumono un significato elevato perché la disputa è percepita in entrambi i paesi come un proxy per il modo in cui si relazioneranno tra loro come poteri asiatici”, ha spiegato Hass. E queste controversie si inquadrano in un contesto in cui l’amministrazione Trump ha alzato notevolmente il livello di competizione/scontro con la Cina, avversario strategico secondo la strategia sulla sicurezza nazionale pubblicizzata la scorsa settimana dalla Casa Bianca.

UN RISCHIO MAGGIORE A EST CHE A SUD

In questi giorni è stato pubblicato un altro report, redatto dal Center for Strategic and International Studies, che dimostra come Pechino abbia continuato a spingere anche nel 2017 (forse approfittando del clamore creato attorno alla Corea del Nord atomica) la militarizzazione di alcuni isolotti nel Mar Cinese Meridionale: Haas fa notare che però in quella fascia s’è raggiunto un, seppur delicato, status quo. Gli Stati Uniti non possono più impedire alla Cina quel che sta facendo, dato che le infrastrutture sono state ormai create, ma d’altra parte nemmeno i cinesi possono bloccare le attività americane in quell’area, a meno che – in entrambi i casi – non si voglia far sfociare la situazione in un conflitto militare; che al momento, è ovvio, è fuori dall’interesse di tutti i contendenti. Nel Mar Cinese Orientale la situazione è diversa, perché ancora Pechino non ha piantato i propri caposaldi, e per questo – sulla scorta dell’esperienza Meridionale – più delicata. Il Giappone nel 2012 ha comprato dal vecchio proprietario privato tre isolotti di quelli contesi, suscitando un’esplosione di proteste anti-Tokyo in Cina; risposta a senso inverso, dopo che nel 2013 la Cina aveva promosso la creazione di una zona di identificazione di difesa aerea formale su alcuni cieli del quadrante. In quegli stessi cieli aerei giapponesi hanno condotto più volte esercitazioni congiunte insieme agli americani, in quelle stesse acque le navi cinesi passano rasenti alle coste comprate dai giapponesi; e delicati incontri ravvicinati si susseguono periodicamente (coinvolgendo anche unità statunitensi, come nel caso dell’intercettazione di maggio, con cui due jet cinesi si sono avvicinati a un aereo militare americano).

(Foto: Wikipedia, la portaerei americana Carl Vinson e il cacciatorpediniere giapponese Samidare nel Mar Cinese Orientale, a marzo 217)


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