Le indagini del Russiagate si concentrano nuovamente su Paul Manafort, già capo dell’organizzazione nella campagna elettorale del presidente Trump. L’ufficio del procuratore speciale Robert Mueller ha recentemente comunicato che Manafort avrebbe intrattenuto contatti con l’intelligence russa e avrebbe lavorato a un dossier anonimo con l’intento di disinformare l’opinione pubblica sui suoi affari in Ucraina e sull’incriminazione per money laundering formulata pochi mesi fa nei suoi confronti.
Nelle ultime settimane i legali di Manafort avevano avanzato una richiesta di sospensione degli arresti domiciliari, cui è sottoposto dal giorno della sua incriminazione. Il procuratore speciale si è opposto a tale richiesta affermando che, nonostante il provvedimento restrittivo, Manafort avrebbe continuato ad interagire con i russi per lavorare ad un dossier da girare in via anonima alla stampa, costruito ad arte per confondere il quadro investigativo e disinformare i cittadini americani.
Sebbene i contenuti del dossier in questione non siano stati resi pubblici, l’ufficio del procuratore speciale avrebbe sufficienti elementi per accusare Manafort di aver violato l’ordine restrittivo emesso l’8 novembre scorso: “Even if the ghostwritten op-ed were entirely accurate, fair, and balanced, it would be a violation of this Court’s November 8 Order if it had been published”.
Sulla base delle informazioni diffuse dagli organi giudiziari sembrerebbe dunque prospettarsi all’orizzonte una nuova accusa di contatti con persone ritenute vicine all’intelligence del Cremlino. Allo stesso tempo, il dossier cui Manafort stava lavorando come ghostwriter, pur essendo accurato e bilanciato, avrebbe violato il divieto di intrattenere comunicazioni con soggetti non autorizzati durante gli arresti domiciliari. Tanto è bastato a Mueller per opporsi alla richiesta di sospensione del provvedimento e presentare nuovi elementi probatori a supporto della tesi investigativa.
A pesare sulla condotta dell’ex capo dell’organizzazione nella campagna di Trump vi sarebbe anche l’accusa di disinformazione, che aggrava un quadro giudiziario già serio: “The editorial clearly was undertaken to influence the public’s opinion of defendant Manafort, or else there would be no reason to seek its publication.”
Come riportato dalla CNN, l’ufficio del procuratore speciale avrebbe richiesto una nuova udienza, che dovrebbe essere fissata per il prossimo 11 dicembre, al fine di presentare alla corte ulteriori dettagli sulle accuse formulate.
Dopo l’incriminazione di Michael Flynn, già national security advisor del presidente Trump, una nuova tegola potrebbe cadere sull’amministrazione sebbene la posizione processuale dei due accusati sia sostanzialmente diversa. Flynn sta dimostrando di voler collaborare con il procuratore speciale e ha ammesso di aver intrattenuto rapporti diretti con l’ambasciatore russo a Washington durante le scorse presidenziali.
Le imputazioni nei confronti di Manafort, invece, non avrebbero nulla a che fare con la campagna elettorale e riguarderebbero esclusivamente i suoi affari poco chiari con organizzazioni ucraine vicine al Cremlino. Le accuse di aver nascosto transazioni finanziarie e di aver riciclato una parte dei proventi di tali attività sono state, tra l’altro, sempre rigettate dal diretto interessato, che continua a professarsi innocente e nega qualsiasi coinvolgimento nei tentativi di condizionamento della campagna elettorale da parte russa.
Solo indirettamente, dunque, l’amministrazione potrebbe risentire il colpo, non avendo Manafort mai avuto incarichi alla Casa Bianca o ruoli di rilievo una volta conclusa la campagna presidenziale. Su Trump, d’altro canto, si ripercuoterebbe l’incapacità di scegliere gli uomini giusti per gli incarichi più delicati. Una voce, quest’ultima, che circola da un po’ di tempo anche al Dipartimento di Stato.