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Perché Altero Matteoli mancherà alla politica italiana

Altero Matteoli

L’improvvisa, crudele e violenta morte di Altero Matteoli, al di là dello sgomento suscitato in chiunque lo aveva conosciuto o che pure soltanto sporadicamente aveva avuto a che fare con lui, ha lasciato un vuoto che definire incolmabile per una volta almeno non suona retorico o di circostanza. La sua fine, nella sua Toscana, su quella maledettissima strada che lui avrebbe voluto rifare, ma gli venne impedito quando poteva, segna una frattura gravissima in un mondo politico che cerca faticosamente di aggrapparsi alla ragionevolezza per tentare di superare un impasse dalle conseguenze prevedibilmente disastrose.

Matteoli, in questo senso, era una risorsa della quale non si poteva fare a meno. Stava dando il suo decisivo contributo, in questi mesi, a ricostruire il centrodestra guardando alla più complessiva  ricomposizione di un sistema politico in frantumi, talmente fragile da far prevedere perfino l’inutilità delle prossime elezioni politiche.

Con la pazienza è l’intelligenza messe in campo in tante altre occasioni, Matteoli immaginava che soltanto un’area composita e coesa, quella alla quale apparteneva da sempre, avrebbe potuto, indurre il campo avversario a rispondere all’analoga esigenza per poter dare allo sconnesso bipolarismo, minato da un terzo polo confuso fino ad essere pericoloso nelle sue pretese demagogiche e velleitarie, un possibile avvenire riducendo il danno dell’irruzione dell’irrazionale e della rabbia priva di progetti realistici nella politica italiana.

Girava il Paese come un ragazzino Matteoli, quasi che per lui gli anni non pesassero, per tentare di riagguantare una prospettiva seria di ricostruzione dei rapporti politici fondanti la democrazia dell’alternanza. In questi giorni che precedono le festività era impegnato nella formazione delle liste locali in una prospettiva di riorganizzazione del centrodestra che fosse competitivo al punto di pensare di vincere le elezioni per il rinnovo del Parlamento. E, come sempre, non si risparmiava neppure un appuntamento, nemmeno una cena con gli elettori, gli amici di partito, i dirigenti che riusciva a tenere insieme con la sua capacità di “fare comunità”.

Un modo antico di concepirla, si dirà. È vero. Matteoli a quel modo non è mai venuto meno. Sognava, come il suo (e nostro) amico Pinuccio Tatarella cui era legatissimo, una sorta di “armonia” che sostenesse le vicende politiche e la costruzione delle alleanze all’intero dei partiti, nelle coalizioni e perfino nei rapporti tra maggioranze ed opposizioni. Apparteneva ad una scuola nobile, quella nella quale si era formato fin da ragazzino. Era nel suo Movimento Sociale Italiano che aveva appreso a fare politica. Con un maestro d’eccezione: Beppe Niccolai, suo mentore e fratello maggiore.

Li conobbi entrambi nei lontani anni Settanta, al debutto di un tumulto che avrebbe cambiato le nostre vite, a Pisa dove cercavo faticosamente e disperatamente di studiare per laurearmi in legge e resistere (senza molta convinzione) alle sirene della militanza politica. Beppe il riferimento indiscusso e lui, Altero, quel livornese di Cecina che guardava già lontano e a trentadue anni era più che una promessa per da Destra toscana. Il primo lasciò il testimone al secondo che non lo fece rimpiangere. Poi gli toccò diventare protagonista nella stagione, contraddittoria e non sempre brillante, della cosiddetta “destra di governo” che seppe interpretare meglio di tanti altri rimanendo vittima tuttavia, non di rado, di calcoli politicisti che poco si conciliavano con il suo spirito rimasto sostanzialmente da “bastian contrario”, in qualche modo “ribelle”. Fece, comunque, la sua parte con onore. E quando vide il disfacimento di Alleanza nazionale cercò di portare dove era possibile quella sua Destra che si andava smarrendo per ragioni che non è certamente questo il momento ed il luogo di analizzare.

Matteoli è stato tante cose – consigliere comunale, sindaco, deputato, senatore, ministro, presidente di Commissione – ma mi piace ricordarlo come militante di una parte politica che non ha mai considerato gli antagonisti “nemici”, ma sempre e soltanto avversari. Sarà per questo che il suo “trattativismo” è stato qualche volta equivocato. Per esperienza personale posso dire che la sua attitudine  a comprendere le ragioni degli altri gli veniva quasi spontanea, riflesso di un carattere sostanzialmente mite grazie al quale ha assimilato i dettami della politica volgendo lo sguardo alla costruzione piuttosto che alla sterile demolizione.

Una figura come la sua non s’inventa da un giorno all’altro. Aveva settantasette anni e neppure risentiva dei postumi di un gravissimo incidente automobilistico che una trentina d’anni fa ce lo stava portando via e sopravvisse quasi per miracolo. L’età non conta per gente come Matteoli. E lo facevano sorridere gli ululati rabbiosi di inesperti politicanti dediti alla rottamazione senza prospettive. Lui di prospettive, ancora oggi, né aveva e le rincorreva come poteva. Purtroppo anche lanciandosi con una potente automobile verso l’ultima riunione in un piccolo centro della sua Toscana.

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