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Come la campagna elettorale russa influenza le scelte di Putin in Siria

“La Russia deve dimostrare, soprattutto all’opinione pubblica interna, che presto si ritirerà dalla Siria”, spiega a Formiche.net Eugenio Dacrema dell’Università di Trento, che ricopre anche il ruolo di ricercatore associato dell’Ispi a Milano. A questo, per l’analista italiano ora ad Amman, si lega il blitz di Vladimir Putin alla base russa in Siria di Hmeimim: visita durante la quale il presidente russo ha annunciato ai suoi soldati che presto rivedranno la madrepatria; dove il prossimo anno, a marzo, si vota per il rinnovo del presidente, e Putin è di nuovo tra i candidati, ultra-favorito. L’annuncio del ritiro si lega alla vittoria sul terrorismo, secondo Mosca. “L’atteggiamento russo – secondo Dacrema – deve preoccupare soprattutto coloro che alla Russia hanno affidato una risoluzione del conflitto siriano che garantisca i loro interessi, a cominciare dall’opposizione siriana, ma anche Israele, le potenze del Golfo, gli Stati Uniti e l’Unione Europea”.

L’IRAN ATTENDE

Per Dacrema, se la Russia si ritirasse davvero, la situazione si allineerebbe sulla “visione iraniana di uno stato debole e di milizie (filo-iraniane) forti che lo dominano: aspetto che è per motivi diversi contro gli interessi di molti attori internazionali che hanno visto finora nella Russia l’unico fattore in grado di contrastare questo scenario”. Però, aggiunge l’analista, “la capacità russa di controbilanciare l’Iran nel condizionare la soluzione finale del conflitto siriano si basa proprio sulla massiccia presenza in Siria. Per questo il fatto che la Russia dimostri (a più riprese) di avere fretta di dare un annuncio netto sul proprio ritiro non può che impensierire chi è preoccupato dalla presenza iraniana e rilassare invece il (non)alleato Teheran sul fatto che per ottenere i propri obiettivi è sufficiente avere ancora un po’ di pazienza”. Questo è un aspetto centrale per i futuri equilibri geopolitici regionali: tra l’Iran e i paesi del Golfo, guidati da Arabia Saudita ed Emirati Arabi, sta infatti salendo di livello il confronto, anche (o soprattutto) perché la Repubblica islamica ha acquisito più forza e influenza col procedere del conflitto siriano; e adesso che il regime è salvo, gli ayatollah stanno presentando il conto del sacrificio di sangue fatto per salvare Damasco.

PUTIN NON SI RITIRA DEL TUTTO

Sulla dichiarazione di Putin c’è anche da notare “che mette un po’ in dubbio l’aura di infallibilità e scaltrezza tattica che i commentatori internazionali sono usi conferire al presidente russo”, dice Dacrema: “È infatti almeno la terza volta che il Cremlino annuncia il ritiro dalla Siria. Già nella primavera del 2016, in un discorso con analoghi toni trionfalistici, Putin disse la stessa cosa. In realtà, come accade per il mission accomplished di George W. Bush in Iraq, a oggi sappiamo che sono morti più soldati russi da quella data che non prima”. In questi giorni Associated Press ha pubblicato un’importante inchiesta sulla presenza di migliaia di contractors russi in Siria. Si tratta di uomini di società private che operano nel settore della sicurezza, ingaggiate dal Cremlino per missioni al posto dei soldati regolari.

I CONTRACTORS

In molti scenari sostituiscono le truppe russe, e questo permette anche di tenere più basse le perdite nei conteggi ufficiali, di far passare Mosca come molto efficace, di mettere a tacere chi in Russia critica l’impegno siriano. Il Cremlino ufficialmente non parla di questi soldati-privati, anche perché la legge russa ne proibisce l’utilizzo; i sopravvissuti riceverebbero un compenso generoso per mantenere il silenzio, scrive AP, le famiglie dei morti avrebbero firmato contratti per non parlare. Secondo l’inchiesta ci sono migliaia di questi mercenari russi sul suolo siriano, molti hanno iniziato a combattere laggiù mesi prima dell’intervento ufficiale di Mosca del settembre 2015. I cronisti americani, anche tramite contatti con giornalisti di testate indipendenti russe, hanno anche raccolto informazioni sui travasi di potere e controllo del territorio dall’amministrazione di Damasco a queste società russe (vicine al Cremlino). Per esempio, viene citato un contratto di 47 pagine registrato a Mosca tra Evro Polis – una società di contractors – e la siriana General Petroleum Corp, secondo cui la ditta di sicurezza russa riceverebbe una quota del 25 per cento dei profitti dai giacimenti di petrolio e gas liberati dall’IS e tornati di proprietà della società statale siriana. La Evro Polis è controllata da Yevgeny Prigozhin, più noto come lo “Chef di Putin”, un imprenditore del settore alimentare molto vicino al presidente e poi sbarcato nel business militare; secondo AP, Evro Polis è “un fronte per le operazioni di Wagner in Siria”, dove Wagner è il nome della ditta di contractors russi che operano sul suolo siriano, riconducibile a Dmitry Utkin. Sia Progozhin che Utkin sono stati messi sotto sanzioni da Stati Uniti e UE dopo le vicende della Crimea e dell’Ucraina orientale.

L’ANNUNCIO È FALSO

Per Dacrema, l’annuncio di Putin “è evidentemente falso” al punto da farlo diventare “una grossolana affermazione elettoralistica”. Mosca manterrà presa territoriale per ragioni strategiche, sia attraverso questi soldati clandestini, sia con truppe regolari. “La Russia – spiega l’analista – ha anche recentemente completato il deployment di nuove unità aventi mansioni di polizia militare in alcune delle aree di de-escalation (quelle in cui c’è un accordo di de-conflicting siglato anche con gli Stati Uniti, ndr), e visti i tempi con cui le trattative procedono è nell’ordine delle cose che queste truppe rimangano ancora per parecchi mesi (almeno)”. Inoltre l’esperto italiano ricorda che da tempo c’è un susseguirsi di indiscrezioni che parlano della costruzione di una base militare russa nel sud della Siria, la quale si andrebbe ad aggiungere a quella navale di Tartus e a quella aerea di Lathakia (da dove Putin ha fatto l’annuncio): “È abbastanza un ossimoro costruire una nuova base mentre si ritirano le truppe”.



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