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Le strategie militari di Xi Jinping. L’analisi dell’ammiraglio Sanfelice di Monteforte

Di Ferdinando Sanfelice di Monteforte
balcani cina

Non è facile vedere il segretario del Partito comunista cinese, Xi Jinping, in uniforme. Recentemente, però, si è fatto ritrarre in tuta mimetica mentre stringe la mano di alcuni soldati. Questo temporaneo abbandono di giacca e cravatta si spiega leggendo quanto da lui stesso detto sulle Forze armate al 19simo congresso del Pcc: “L’obiettivo del Partito è di incrementare le forze del popolo fino a (farle diventare) forze a livello mondiale che obbediscano agli ordini del partito, possano combattere e vincere, e mantenere un comportamento eccellente”.

Durante il discorso, è tornato sull’argomento: “Dobbiamo implementare i principi fondamentali e i sistemi della leadership del partito sui militari e far sì che la strategia nel rafforzare le capacità per la nuova èra guidi il lavoro per costruire la difesa nazionale e le Forze armate”, sostenendo poi la necessità di “incrementare la lealtà politica delle Forze armate, e gestirle in accordo con la legge”. Xi, quindi, ha temuto di perdere il controllo politico delle Forze armate, e ciò lo ha indotto a una maggiore vicinanza ai soldati, oltre alla rimozione di alcuni leader militari.

Tra i punti importanti toccati da Xi a proposito delle Forze armate, c’è innanzitutto la continuità della strategia militare cinese. Quando afferma che “abbiamo sviluppato una strategia per (lo strumento) militare sotto circostanze nuove”, egli conferma la validità del documento strategico-militare emanato nel 2015 e incentrato sulla difesa attiva, una dottrina aggressiva mutuata dall’Urss, che prevede l’azione al primo indizio di un possibile attacco. In secondo luogo, lo sforzo di modernizzazione, da lui rivendicato con parole chiare: “Abbiamo fatto ogni sforzo per modernizzare la difesa nazionale e le Forze armate”, incluso lo sviluppo di “tecnologie distruttive”.

Infine, l’aderenza alla strategia marittima a suo tempo delineata dall’ammiraglio Liu Huaqing, che prevede “due distinte linee difensive oceaniche, la prima catena di isole, che racchiude il mar Giallo, il mar Cinese orientale e quello meridionale, lo Stretto di Taiwan e la catena di isole Ryukyu, e – in futuro – la seconda catena di isole nella parte settentrionale del Pacifico”. Su questo punto, il leader cinese, all’inizio del suo discorso, ha vantato, in modo quasi innocente, “la costruzione (di piattaforme) sulle isole e sulle scogliere del mar Cinese meridionale (che) ha visto costanti progressi”, e ha poi affermato che la Cina ha “intrapreso missioni maggiori per la protezione dei (propri) diritti marittimi (e) per i servizi di scorta nel golfo di Aden”, proiettandosi quindi nell’Oceano indiano.

L’obiettivo è di “costruire un potente e moderno Esercito, Marina, Aeronautica, forza missilistica, (nonché una) forza di supporto strategico”, segno, tra l’altro, che la Cina vuole acquisire una capacità di proiezione oltremare, oltre a “salvaguardare la (propria) sovranità e integrità territoriale, e non permetterà mai che si ripeta la tragedia storica della divisione nazionale”. Queste affermazioni, con gli altri accenni al secolo dell’umiliazione e alle guerre dell’oppio, appaiono sintomatiche. Infatti, oltre ad accennare all’occupazione di isole e scogliere nella parte sud del mar Cinese meridionale, il leader cinese conferma “la determinazione, la fiducia e l’abilità di sconfiggere tentativi separatisti per l’indipendenza di Taiwan sotto ogni forma”.

In sintesi, la Cina insiste nel rivendicare il possesso sia di tutto il mar Cinese meridionale, sia di Taiwan, due aspirazioni contrarie al diritto internazionale. Ma la strategia marittima di Xi Jinping non punta solo a creare una Marina competitiva nei confronti dei potenziali avversari, ma anche a rafforzare i legami commerciali con il resto del mondo, “indorando la pillola” nei confronti dell’occidente. Infatti, il leader cinese ha confermato che la Cina “dovrà proseguire l’iniziativa Belt and road come prioritaria, dare uguale enfasi a ‘portare dentro’ (cooptare) e ‘globalizzarsi’, seguire il principio di conseguire una crescita condivisa, attraverso la discussione e la collaborazione, e incrementare la trasparenza e la cooperazione nel costruire capacità innovative”.

Dunque, la Cina vuole essere, dopo il 2035, “un leader globale in termini di forza complessiva nazionale e di influenza internazionale”, e per questo, pur essendo bisognosa di pace e di stabilità per il proprio sviluppo interno, non lesinerà sforzi per acquisire capacità militari anche aggressive. Non è una prospettiva del tutto tranquillizzante. Quello che manca alla Cina è la tecnologia degli armamenti, per effetto di un embargo occidentale che dura dal 1989, e ha avuto poche e mirate eccezioni. L’Ue sta discutendo se toglierlo o meno, ma con queste dichiarazioni di Xi Jinping appare difficile che ciò avvenga.


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