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Perché i think tank Usa promuovono la dottrina Trump. Parola di Nordenman

Nordenman

Da Washington – Conversazione di Formiche.net con Magnus Nordenman (nella foto), direttore della Transatlantic Security Initiative presso il Brent Scowcroft Center on International Security dell’Atlantic Council di Washington DC.

Nordenman, qual è la sua valutazione sulla National Security Strategy appena rilasciata dall’amministrazione Trump?

Partirei con un’osservazione: è assai interessante notare come la National Security Strategy appena rilasciata dall’amministrazione Trump possa essere l’inizio di un nuovo impegno assai proattivo da parte degli Stati Uniti nel mondo. Non ci troviamo difronte ad una strategia isolazionista. Al contrario, credo si tratti di un documento fortemente votato ad una prospettiva internazionale sebbene connotato da un’attenzione assai bassa verso il multilateralismo e la cooperazione nei consessi sovranazionali.

Vi sono nel documento elementi di continuità con la prospettiva dei think tank a Washington o dei richiami alle precedenti strategie di sicurezza nazionale?

Più che dei richiami alle strategie delle precedenti amministrazioni, posso dire che questo documento faccia propria una prospettiva che la comunità dei think tank considera “saggia”, anche al di fuori dei sostenitori del presidente. Mi riferisco, ad esempio, all’idea secondo cui ci stiamo avviando verso una competizione globale, al fatto che vi siano poteri nel mondo che cercano più o meno legittimamente di cambiare le regole del gioco, tanto per chiamare in causa il riferimento alla Russia e alla Cina. Tutto ciò riflette pienamente il punto di vista della maggior parte degli esperti a Washington, in una riflessione che parte già dall’ultima fase dell’amministrazione Obama. In questo vedo delle chiare connessioni o comunque una rispondenza al senso comune americano che ingloba, dunque, anche la visione presidenziale.

Su quali temi è più evidente l’unanimità di vedute tra la presidenza e i think tank?

Il documento identifica una serie di priorità sulle quali c’è una larga convergenza qui a Washington: si pensi anche solo al focus sul terrorismo, un tema sul quale si registra un’attenzione senza soluzione di continuità in tutte le strategie di sicurezza nazionale elaborate dal 2002 ad oggi. La stessa unanimità di posizioni emerge quando si affronta il tema dell’anti-proliferazione e delle minacce derivanti dal possibile utilizzo della armi di distruzione di massa. Anche in questo caso si tratta di una priorità di lungo corso, già chiaramente affermata dalla prima amministrazione di George W. Bush.

Come cambieranno le policy degli Stati Uniti in materia di Difesa e sicurezza internazionale?

Anche in questo direi che vi sia una sostanziale prospettiva di continuità e non invece cambiamenti radicali. Il tema da cui meglio emerge questa mia convinzione è il richiamo costante al concetto di modernizzazione delle forze armate e all’idea di supremazia americana a livello globale. Si tratta evidentemente di aspetti tipici del pensiero strategico statunitense, presenti ad esempio anche all’interno dell’ultima National Security Strategy della presidenza Obama. Confermo quindi il prevalere di un sentimento di continuità e non di rottura.

Quale sarà l’impatto della strategia sulla leadership del Pentagono e del Dipartimento di Stato?

Credo sia troppo presto per affrontare questo tema, soprattutto se si guarda agli aspetti più burocratici e organizzativi. Per avere un quadro più chiaro sarà necessario attendere l’uscita della National Defense Strategy tra qualche mese, che servirà anche a capire in che modo la NSS possa impattare sul Pentagono e sulla Difesa americana. Tra l’altro, credo sia importante ricordare che documenti del genere in alcuni casi finiscono per essere assai importanti ma in altri casi finiscono con l’avere un effetto praticamente quasi irrilevante. In questo non dobbiamo dimenticare che la Casa Bianca è formalmente tenuta a produrre una strategia di sicurezza nazionale, lo richiede il Congresso, e può capitare che il lavoro dell’amministrazione sia più orientato verso tale obbligo formale. Solo nei prossimi mesi capiremo se effettivamente il documento riuscirà a plasmare la visione strategica degli Stati Uniti.

Come cambierà l’approccio degli USA alla NATO e ai temi dell’Alleanza Atlantica?

Il termine NATO è menzionato quattro volte all’interno del documento e in tre di queste menzioni la parola è associata ad uno dei più grandi successi dell’impegno americano nel mondo. Leggo questo dato sostanzialmente come una buona notizia per l’Alleanza, per l’Europa e per le relazioni transatlantiche. Il termine è poi accostato al tema del supporto finanziario all’Alleanza. Questo può essere letto come un segnale di attenzione che l’amministrazione lancia ai propri alleati. Parlando in termini più generali con riferimento alla NATO, noto il persistente richiamo della minaccia russa e cinese. Entrambi i Paesi sono visti come dei competitor strategici anche per quanto riguarda i temi della Difesa. Altro argomento centrale è quello del contrasto al terrorismo, che credo sia un’ottima base di confronto con i paesi del sud Europa, a partire dall’Italia.

La National Security Strategy di Trump guarda, dunque, positivamente alla NATO?

Sì, credo proprio che questo documento esprima una posizione più che positiva nei confronti della NATO. L’Alleanza Atlantica non è stata accantonata da questa amministrazione, sebbene vi sia tanto lavoro da fare. Il mio punto di vista a riguardo è che la NSS sia un buon punto di partenza ma non rappresenti la perfezione. Sono contento di vedere che l’amministrazione guardi ad una prospettiva di impegno nel mondo e che consideri la NATO un’alleanza valida per tale scopo.

Qual è il messaggio che la strategia indirizza agli alleati europei?

Credo che il messaggio più importante per l’Europa sia che gli Stati Uniti non abbiano imboccato la strada dell’isolazionismo e che intendano impegnarsi proattivamente nel mondo. Questo impegno si baserà su relazioni bilaterali e sulla ricerca di singole alleanze da costruire e rafforzare. Sono sicuro che tale messaggio sia più che positivo per gli alleati europei. Sfortunatamente, l’idea della leadership globale americana esercitata nei consessi multilaterali sembrerebbe definitivamente tramontata.

Quali sono le linee strategiche del documento per la sicurezza del Mediterraneo e la stabilizzazione del Nord Africa?

Il focus point che emerge dalla NSS per il Mediterraneo è rappresentato dalla minaccia degli attori non statuali. Non mi riferisco solo al terrorismo ma vorrei richiamare anche la lotta alle organizzazioni criminali. È poi interessantissimo il riferimento all’attività di influenza e di penetrazione commerciale da parte della Cina. Questo tema, visto nell’ottica degli investimenti nelle infrastrutture, come ad esempio i porti, può aprire la strada ad una collaborazione più stretta con i partner del sud Europa.

Vi sono i presupposti per un rapporto più stretto con i partner europei e una maggiore intesa tra Roma e Washington?

Credo vi siano enormi opportunità per Roma e per le altre capitali del Mediterraneo. Sono convinto più che mai che questa amministrazione sia apertissima a ricevere proposte dagli alleati europei per migliorare la cooperazione in un’area geografica di assoluto interesse strategico. Questo vale anche con riferimento alla NATO: potrebbe essere una buona occasione per Roma se riuscirà a sviluppare e proporre idee e iniziative di concreto interesse per Washington.



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